Il riciclaggio nel real-estate: scatole cinesi e anonimato

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Lorenzo Buzzoni
Lorenzo Buzzoni
12 dicembre 2022
"Sono un investitore immobiliare che non ha bisogno di usare paradisi fiscali offshore perché ho già qui tutti gli sgravi fiscali di cui ho bisogno. E questo vale anche per l’Europa, non solo per gli Stati Uniti” confidò Donald Trump al giornalista Nicholas Shaxson nel 2016. Ma non tutti gli investitori del real estate la pensano come l’ex Presidente degli Stati Uniti e non rinunciano a uno dei grandi vantaggi del mattone: la facilità a spostare i profitti ricavati dagli affitti e dalle vendite nei paradisi fiscali.
“Se investi tramite un fondo immobiliare ottenuto da una lussemburghese puoi pagare davvero poche tasse” ammette Giovanni Paviera, ex CEO di Generali immobiliare Italia.

Attraverso sistemi di scatole cinesi, il real estate è in grado di rendere difficile stabilire chi sia il beneficiario effettivo degli investimenti immobiliari, garantendo la caratteristica preferita dagli investitori: l’anonimato.

Soprattutto per chi vuole utilizzare il mercato immobiliare per riciclare denaro. “Sulle transazioni immobiliari è semplice gonfiare il prezzo di vendita. Questo permette di iniettare nel mercato proventi illeciti in modo consistente” spiega il professore Michele Riccardi di Transcrime, Università Cattolica di Milano. Inoltre il real estate attira i grandi investitori, perché “c’è una montagna di denaro nei mercati finanziari che deve atterrare nell’economia reale. Gli investitori non guardano solo alla redditività, ma anche alla salvaguardia del capitale”, spiega Gian Gaetano Bellavia, esperto di diritto penale dell’economia

Investigate Europe ha svelato lo schema messo in piedi dalla famiglia Perrodo, proprietaria del colosso petrolifero anglo-francese Perenco: il denaro proveniente dai paradisi fiscali ha alimentato un portafoglio di oltre 2 miliardi di euro di attività dichiarate in società lussemburghesi e altri 533 milioni di euro sono stati investiti in immobili a Londra. Grazie a un sistema di prestiti interni, le società lussemburghesi e le sue affiliate in Spagna e Portogallo sono riuscite a ridurre pesantemente il proprio carico fiscale. L’inchiesta è stata resa possibile grazie al registro pubblico dei titolari effettivi del Lussemburgo, chiuso dopo due reclami presentati alla Corte di giustizia europea da una società e un immobiliarista coinvolto nello scandalo dei Panama Papers. La sentenza del 22 novembre ha dichiarato che l’accesso pubblico ai registri “interferisce con i diritti fondamentali al rispetto della vita privata e alla protezione dei dati personali” garantiti dalla Carta dell’UE.

A Milano, nel 2020, il Comitato Antimafia del Comune ha dichiarato che “la pubblica amministrazione non può non sapere con chi sta trattando”, consigliando all’amministrazione milanese di richiedere sempre l’identità del titolare effettivo delle società in corsa per un appalto, pena l’esclusione dalla gara. L’iniziativa poteva essere l’apripista di una nuova gestione più trasparente, in una regione dove l’1% delle imprese immobiliari (496 aziende) mostra più di 3 elementi di anomalia che potrebbero suggerire un loro coinvolgimento in schemi criminali (Transcrime). Ma l’Autorità nazionale anticorruzione (Anac) ha bloccato l’iniziativa, affermando che il Comune si stava arrogando un potere al di là della sua competenza. «Sono sicuro che se escludessimo un’azienda da una gara e questa facesse ricorso al TAR, lo vinceremmo. Il problema è che non viene fatto”, dice David Gentili, del Comitato Antimafia del Comune. E così Milano, che nel periodo 2015-2020 ha attratto 8 dei 12,9 miliardi di euro dei fondi esteri impiegati nel settore immobiliare italiano (Transparency International) si ritrova a non conoscere la provenienza dei soldi investiti. “O meglio, lo sanno le società di gestione del risparmio, che non vogliono neanche saperlo, perché sono soldi che arrivano soprattutto dagli Emirati arabi, crocevia mondiale del riciclaggio”, conclude Gian Gaetano Bellavia: “È vero, il reimpiego di attività criminali genera tasse. Ma una democrazia può consentire questo?”.

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