6 settembre 2023

Le scorribande dei politici in RAI presto fermate dall’Europa

Maria Maggiore
Maria Maggiore
Sigrid Melchior
Sigrid Melchior
Harald Schumann
Harald Schumann
A Sofia Mandilara piace il suo lavoro di reporter all'agenzia di stampa greca Amna. Ma non tutto ciò che accade in Grecia viene riportato dalla sua agenzia. “Chiunque riferisca di critiche al governo viene censurato”, ammette Sofia.
Di recente, i suoi redattori hanno tagliato le citazioni di due giudici della Corte Suprema che si erano espressi contro un disegno di legge del governo Mitsotakis. “I giornalisti spesso si autocensurano per evitare problemi con la direzione”.

Il "Watergate" greco, le rivelazioni dell’anno scorso secondo cui le autorità usavano software spia per prendere di mira i giornalisti, scoperto dalle piccole testate indipendenti Reporters United e Inside Story, era stato ignorato per mesi dai giornali e dalle televisioni tradizionali. È dopo lo scandalo dei software spia in Grecia che la Commissaria Vera Jurova ha preso di coraggio e infrangendo il tabù che da vent’anni impediva a qualunque esecutivo UE d’interferire sull’indipendenza dei media nazionali. 
 
Nel settembre 2022, è stato presentato il Media Freedom Act (EMFA), un regolamento che domani andrà al voto alla Commissione Cultura del Parlamento europeo e se, tra qualche mese, riuscirà a sopravvive al negoziato finale con i governi, sarà la prima legge europea vincolante a proteggere i giornalisti dalle pressioni politiche.

“L’Europa è in una situazione disperata”, spiega la ceca Vera Jurova, vicepresidente della Commissione europea per i valori e la trasparenza, dal suo ufficio al Berlyamont. “Ho vissuto sotto il comunismo, un potere incontrollato e incontestabile. Questo non dovrebbe accadere in nessuno Stato membro dell'UE", dice a Investigate Europe. I media “tengono sotto controllo i politici. Se vogliamo che svolgano il loro importante ruolo nella democrazia, dobbiamo introdurre una rete di sicurezza europea”. 

Il regolamento avrà il vantaggio di essere direttamente applicabile da un giudice italiano, non ci sarà bisogno di una trasposizione nazionale, come per le direttive. Un lungo articolo garantisce l'imparzialità dei media pubblici, con l’obbligo di introduzione di nomine trasparenti nelle posizioni dirigenziali, mette in guardia dai licenziamenti abusivi e garantisce la trasparenza nell'allocazione dei fondi pubblici a fini pubblicitari. Il testo richiede anche che i caporedattori siano liberi nelle loro decisioni editoriali, obbliga i proprietari dei media a rivelare i conflitti di interesse, vieta lo spionaggio dei giornalisti e crea un board con rappresentanti delle autorità nazionali di controllo per garantire che gli Stati membri rispettino le norme europee.  

Giovanni Melogli del Centre for Media Freedom ha seguito dall’inizio degli anni 2000 la battaglia per ottenere una legge europea sulla libertà di stampa. “Finalmente l’UE ammette le sue competenze giuridiche nel tutelare il diritto fondamentale ad un'informazione libera e plurale per un’Europa non solo votata a definire le politiche economiche". In giugno nel suo rapporto annuale il Centro, con sede a Firenze, ha scritto che esiste “un livello allarmante di rischio per il pluralismo dei media in tutti i Paesi europei”. Non è solo l’Ungheria di Viktor Orbán a preoccupare gli osservatori europei, a nove mesi dalle prossime elezioni europee, dove i sondaggi prevedono l’avanzata dell’estrema destra. Ormai il declino della libertà e del pluralismo riguarda molti paesi democratici. 

In Francia l’ultimo esempio è della primavera scorsa quando il gruppo Vivendi, di proprietà del miliardario Vincent Bolloré, ha ottenuto il via libera per l'acquisto del gigante editoriale Lagardère, compreso il Journal du Dimanche (JDD), il principale giornale domenicale francese. E come nel caso delle sue acquisizioni di CNews nel 2016 e della rivista Paris Match l'anno scorso, l'acquisto è stato seguito da una brusca svolta nell'orientamento editoriale del JDD. Il caporedattore se ne è andato presto e al suo posto è subentrato il giornalista di estrema destra Geoffrey Lejeune. A niente è servito lo sciopero dell'intero staff, che accusava Lejeune di articoli “spregevoli” e “razzisti” nella sua precedente posizione presso Valeurs Actuelles, una rivista passata da posizioni di destra a posizioni di estrema destra. 
“Il problema non è la concentrazione dei media in sé, il problema è che la concentrazione finisce nelle mani sbagliate”, dice Gad Lerner, firma storica di Repubblica, passato a Il Fatto Quotidiano quando Repubblica è stata comprata dalla famiglia Agnelli insieme al gruppo Gedi (La Stampa, l'Espresso, HuffPost Italia, il Secolo XIX, Limes, MicroMega, Radio DeeJay, Radio Capital) per la cifra irrisoria di 102 mil €. “Meno di quanto sia costato Ronaldo quando è stato comprato dalla Juventus (115 mil)” ironizza Lerner. Lo stesso giorno è stato chiesto all’allora direttore, Carlo Verdelli, di lasciare il suo incarico. Ma non è il solo esempio: la famiglia Angelucci, a capo di un impero di ospedali privati, sta costruendo un polo di giornali di destra (Libero, il Giornale, Il Tempo, presto anche la Verità). “Sempre più imprenditori con un core business in altri settori comprano giornali, TV o radio, a prezzi stracciati, in perdita, per dare visibilità ai politici da cui dipendono per i loro veri affari", dice Lerner.
E poi c’è il caso Rai, direttori di testate spartiti tra i partiti politici, trasmissioni cancellate, CEO e Presidente ormai nominati dal Ministero dell’economia, dopo che Matteo Renzi ha dato ancora più potere al governo, modificando la legge 220 nel 2015. L’attuale governo Meloni cavalca una situazione creata dai precedenti governi. Secondo l’Osservatorio dei media di Pavia, nel primo mese di governo, gli esponenti del governo Meloni hanno avuto una presenza del 70% tra tutte le notizie politiche delle emittenti Rai. Giuseppe Conte all’inizio del Conte bis era al 24% e Mario Draghi all’inizio della guerra in Ucraina, era arrivato al 44%. Mai nessuno come la Meloni che, da sola, in luglio, ha avuto 386 minuti in Rai contro 73 della Schlein. “Da noi, non c'è più bisogno di censura”, afferma Daniele Macheda, segretario del sindacato Usigrai. “L'intero sistema è imbavagliato; le notizie critiche non passano più”.  
Tra i programmi cancellati da Rai da quando Giorgia Meloni è al governo, c'è anche quello di Roberto Saviano.Shutterstock

“Lo Stato non deve interferire nelle decisioni editoriali” afferma Jourová rispondendo a una domanda sull’Italia. Per Roberta Carlini, Coautrice del rapporto italiano del Media Pluralism Monitor, “la legge italiana sulle nomine Rai, sarà in contrasto con la nuova norma Ue: si dovrà modificarla per evitare una procedura d’infrazione”.

Intanto, però, i governi potrebbero ancora annacquare quella europea. Ungheria, Polonia e le insospettabili Germania e Austria hanno cercato di affossarla, chiedendo che diventasse una direttiva da adattare con legge nazionale. Nella posizione del Consiglio s’introduce la possibilità di spiare i giornalisti, in nome della “sicurezza nazionale”. In difesa, resta solo l’Europarlamento.

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