Il buco da oltre €300 milioni del fondo pensione UE di lusso potrebbe essere pagato dai contribuenti

Alexia Barakou

Pascal Hansens
Pascal Hansens
Sigrid Melchior
Sigrid Melchior
Harald Schumann
Harald Schumann
3 maggio 2023
Un fondo pensione integrativo volontario utilizzato da centinaia di politici andrà in bancarotta entro il 2025. Ora il Parlamento Europeo deve decidere cosa fare.
“Amiamo l’Europa, è l’Unione Europea quella che odiamo”, ha detto Nigel Farage, capo del partito Ukip e architetto della Brexit, nel suo ultimo discorso al Parlamento Europeo nel 2020. Poco dopo queste parole ha lasciato l’istituzione che per anni gli ha dato lavoro ma la sua battaglia per separare il Regno Unito dall’UE non si è allargata fino a toccare i propri benefit personali.

In quanto ex europarlamentare, a un certo punto della carriera Farage si era fatto una pensione integrativa, finanziata primariamente dai contribuenti europei. Se si è iscritto al fondo fin dal suo arrivo al Pe e tra sei anni, dopo il suo 65° compleanno, riceverà non solo una pensione regolare dal Parlamento UE di circa 6.900 euro al mese, ma anche altri 6.800 euro dalla pensione integrativa, per un totale di 13.700 euro al mese per il resto della vita.

Solo che entro la fine del 2025, questo lussuoso fondo pensione sarà a corto di soldi, una bancarotta incombente che arriva nel momento peggiore per il Parlamento Europeo. Da dicembre 2022 è stato infatti travolto in un enorme scandalo di corruzione in cui si sospetta che il Marocco e il Qatar abbiano dato mazzette ad alcuni europarlamentari per influenzare le decisioni dell’UE. A solo un anno dalle elezioni, la reputazione dell’Europarlamento è stata seriamente danneggiata da questi fatti.

Anche l’alleata francese di Farage contro l’UE, Marine Le Pen, è iscritta allo stesso fondo integrativo, oltre che diversi vertici europei come l’Alto Rappresentante degli Affari Esteri UE Josep Borrell, il commissario all’agricoltura Janusz Wojciechowski e la commissaria per la coesione Elisa Ferreira. Tutti e cinque sono stati contattati da Investigate Europe ma non hanno voluto rilasciare commenti.

Dai dati ufficiali rilasciati dal fondo al registro lussemburghese gli iscritti risultano 660 (vedi la lista completa) ma in una nota di aprile del Segretario Generale del Parlamento UE sembrano essere 914 e alcune fonti vicine parlano di 908 iscritti. Il Parlamento europeo non ha voluto divulgare la lista di 908 nomi, citando la protezione dei dati personali.

Secondo le fonti, tra i 908 beneficiari ci sono 21 europarlamentari attuali. IE li ha contattati tutti e ha ricevuto una sola risposta.  

“Una forma di furto”

Il fondo pensione volontario è stato istituito nel 1991 come società privata secondo la legge lussemburghese con l’obiettivo di uniformare le pensioni degli europarlamentari (alcuni avevano pochi diritti pensionistici ordinari secondo le leggi del proprio Paese). Quando poi, nel 2009, è stata istituita una pensione comune per tutti gli europarlamentari, il fondo volontario è stato chiuso ai nuovi membri.

Nonostante le buone intenzioni con cui è stato fondato, il fondo pensionistico privato è sempre stato insostenibile dal punto di vista finanziario. “È stato creato un sistema, con forza quasi criminale, che era destinato a fallire fin dall’inizio”, ha detto Daniel Freund, europarlamentare tedesco dei Verdi che fa parte della commissione per il controllo del bilancio.

Anche Ingeborg Gräßle, politica tedesca di ala conservatrice ed ex-presidente della stessa commissione, ha un’opinione simile: “Queste pensioni provenienti dal fondo extra sono una forma di furto che è veramente scandalosa”.

Salvarlo o non salvarlo?

Lunedì 17 aprile, all’Ufficio della presidenza, un organismo interno al Parlamento composto da 20 europarlamentari di alto grado, si è svolta la prima fase di dibattito su come coprire il deficit, pari a “€308 – €313 milioni”. Da una nota della riunione si evince che le opzioni sono tre.

Nella prima, il Parlamento europeo si fa carico di tutti gli obblighi del fondo pensione, un salvataggio totale con soldi pubblici. Nella seconda opzione a subire sono i beneficiari del fondo: le risorse rimaste vengono divise tra i membri per un pagamento finale una tantum. La terza opzione, quella che l’Ufficio ha deciso di esplorare ulteriormente, prevede un taglio alle pensioni, probabilmente abbinato a un (più piccolo) salvataggio da parte del Parlamento.
Se i costi del salvataggio dovessero ricadere sulle casse dell’UE, l’onere spetterebbe ai contribuenti di tutta Europa. Ipotizzando un salvataggio massimo di €313 milioni e applicando la quota dei contributi nazionali al budget UE del 2023, i contribuenti tedeschi dovrebbero pagare circa €74 milioni e i francesi circa €58 milioni.

Un possibile salvataggio andrebbe ad aggiungersi ai soldi pubblici già versati nel fondo privato, infatti per ogni euro versato dal singolo europarlamentare, il Parlamento ne paga due. Secondo una fonte esperta in materia, sommando i contributi del Parlamento dal 1991 al 2009 il totale è pari a circa €118 milioni. All’inizio di quest’anno la Mediatrice europea ha avviato un’inchiesta sul rifiuto del Parlamento di confermare e pubblicare le cifre. 
In effetti, persino i contributi individuali degli europarlamentari possono essere contestati: fino al 2008 venivano automaticamente dedotti dall’indennità generale dei membri, una somma forfettaria mensile che dovrebbe coprire le spese per l’ufficio, non il salario.

Termini estremamente generosi

I pagamenti che si ricevono dal fondo non sono da poco. La pensione minima del fondo nel 2022 è stata di €2206 al mese, ma possono essere molto più alte. I calcoli di IE dimostrano come gli europarlamentari che hanno contribuito al fondo per il massimo possibile di anni (diciannove) abbiano ricevuto nel 2022 una pensione aggiuntiva di €6800 al mese. Abbinata alla pensione generale del Parlamento di €6900 al mese, si arriva quasi a €14.000 al mese, ben più dello stipendio che ricevevano prima.

Di solito gli europei ricevono una pensione pari al 60/70% del proprio stipendio lordo.

Gli europarlamentari hanno dovuto contribuire al fondo solo per cinque anni, e successivamente solo per due anni, per poi ricevere una pensione extra per tutta la vita. I diritti acquisiti erano così elevati che il totale dei contributi di un singolo deputato al Parlamento europeo per una legislatura sarebbe stato restituito entro quattro anni dal pensionamento. Dato che la maggior parte degli ex-europarlamentari percepiscono una pensione dal fondo per un periodo più lungo, il deficit ha continuato ad aumentare.

Per almeno 20 anni, il fondo pensionistico volontario ha registrato un cosiddetto deficit attuariale, che significa che i pagamenti futuri stimati per le pensioni sono stati superiori alle disponibilità stimate del fondo.

Nel 2004 l’Ufficio della presidenza ha deciso di triplicare i propri contributi al fondo, che ancora una volta venivano pagati per due terzi dal bilancio dell’UE. Una fonte vicina alla gestione del fondo dice che questa soluzione avrebbe risolto i problemi finanziari a lungo termine.

Dal 2009, però, i nuovi membri non hanno più potuto unirsi al fondo pensionistico e tali contributi più alti sono stati pagati solo fino a luglio dello stesso anno. Contemporaneamente, il Parlamento UE ha deciso che i diritti pensionistici avrebbero dovuto essere “mantenuti interamente” in futuro. “La decisione di interrompere i contributi ma di attenersi completamente ai diritti originali è stata irresponsabile e il deficit era inevitabile”, ha detto la fonte con conoscenze interne sullo sviluppo del fondo.

Chiudere un occhio

La bancarotta imminente del fondo pensione non dovrebbe essere una sorpresa. L’ex-europarlamentare belga Bart Staes, che per 20 anni ha fatto parte della commissione per il controllo del bilancio, dice che i rischi erano noti molto presto.

“Penso che fosse nel 2003, quando ero il relatore per il discarico del budget, che ho scoperto i problemi del fondo”, ha detto. “Abbiamo iniziato a fare domande al Segretario Generale, all’Ufficio della presidenza, e abbiamo votato una risoluzione (più volte) in cui dicevamo che il deficit non avrebbe dovuto essere pagato dai contribuenti. Col passare degli anni abbiamo visto il deficit crescere sempre di più”.

Una coalizione trasversale ai partiti, composta da europarlamentari della commissione tra cui il Verde Bart Staes e la conservatrice Ingeborg Gräßle, ha criticato la gestione del fondo.

“Non ci sono stati giochi di partito, tutti pensavamo che fosse inaccettabile e che i contribuenti non dovessero pagare per questo. Siamo riusciti a far capire i problemi alla plenaria ma non siamo riusciti a farci ascoltare dai vertici del Parlamento”, ha detto Staes.

Ha detto anche che c’era una vaga pressione sui nuovi europarlamentari per farli unire al fondo da parte dell’amministrazione del Parlamento. Alcuni l’hanno fatto senza pensare, altri sono stati avidi: “Hanno già un buon stipendio e avranno una buona pensione, che è più di quello che l’europeo medio ha”.
Quando più persone sono venute a conoscenza del deficit e il fondo è stato criticato pubblicamente, molti europarlamentari hanno smesso di parteciparvi; alcuni gruppi politici e certe delegazioni nazionali di partito sono uscite dal fondo per principio.

In diverse occasioni gli europarlamentari hanno espresso formalmente il proprio rifiuto di utilizzare il budget del Parlamento europeo per salvare il fondo. Dal 2011, in una risoluzione adottata in plenaria, il PE “ritiene che questo deficit non debba essere pagato con i soldi dei contribuenti, ma dal Fondo stesso”. Questa posizione è stata ribadita nelle risoluzioni adottate dalla plenaria in diverse occasioni, l’ultima delle quali nel 2016.

Conflitto d’interessi
Alla sua creazione, non era chiaro chi si sarebbe assunto i rischi degli investimenti del fondo volontario privato: i contribuenti europei o i membri stessi? Sia la Corte dei conti sia la commissione per il controllo del bilancio hanno più volte fatto pressione sull’Ufficio della presidenza perché definisse le responsabilità in caso di deficit.

È stato soltanto nel 2009 che l’Ufficio ha stabilito che sarebbe dovuto essere il Parlamento europeo a garantire le pensioni future “dopo l’esaurimento del Fondo Pensione”.

Dei venti membri dell’Ufficio che hanno preso parte al voto, quindici erano in quel momento o erano stati in passato beneficiari del fondo. Da quanto risulta dal verbale della riunione, nessuno si è astenuto per conflitto d’interessi.

Solo un membro si è opposto, il liberale olandese Jan Mulder, che era tra i beneficiari. Mulder era anche membro della commissione per il controllo del bilancio e, insieme a Ingeborg Gräßle e Bart Staes, era uno dei maggiori detrattori del fondo.

Sarà di nuovo l’Ufficio della presidenza a decidere come risolvere il deficit prima della bancarotta del fondo. Secondo una lista interna del 2022, dei venti membri in carica, tre sono tutt’ora beneficiari del fondo: Dimitrios Papadimoulis, europarlamentare della sinistra radicale greca, Roberts Zile, nazional-conservatore lettone e Othmar Karas, conservatore austriaco. Zile e Karas siedono anche nel consiglio di amministrazione del fondo pensione privato e hanno entrambi rifiutato di commentare.

Il Verde Daniel Freund pensa che questa situazione sia inaccettabile. I tre europarlamentari si trovano “in un enorme conflitto d’interessi quando contribuiranno a decidere se il fondo debba ricevere ancora più fondi pubblici. Sarebbe comune decenza da parte loro uscire immediatamente dal fondo”, ha detto.

Il 2 maggio, alla richiesta di un commento, Papadimoulis ha detto che intende lasciare il fondo: “In virtù della decisione che deve essere presa su questo argomento dall’Ufficio della presidenza, vorrei che fosse assolutamente chiaro che non farò valere i miei diritti pensionistici legati a questo fondo”.

La questione più urgente per l’Ufficio sarà decidere se il PE è legalmente obbligato a onorare le promesse fatte a ex-europarlamentari: le regole del Parlamento stesso lo confermano ma della recente giurisprudenza UE sostiene il contrario.

Già due volte in passato l’Ufficio ha modificato i termini di un fondo pensione per aumentarne la sostenibilità. Nel 2009 l’età pensionabile è aumentata da 60 a 63 ed è stata tolta l’opzione della pensione anticipata. Nove anni dopo l’età pensionabile è aumentata ancora a 65 ed è stata introdotta una tassa del 5% sulle pensioni.

Entrambe le decisioni sono state impugnate presso la Corte di giustizia europea da alcuni beneficiari del regime pensionistico e, in tutte e due i casi, i ricorrenti hanno perso. Secondo la Corte, l’Ufficio poteva (e può) cambiare i termini di pagamento delle pensioni.

Nei prossimi mesi l’Ufficio della presidenza dovrà decidere se usare più soldi dei contribuenti per salvare le pensioni d’oro di Le Pen, Farage e Borrell. Se scegliesse di non farlo, è molto probabile che un taglio delle pensioni finirebbe nuovamente davanti alla Corte di giustizia dell’UE.

Redattori: Elisa Simantke & Chris Matthews
Grafici: Marta Portocarrero
Questa storia è stata pubblicata con i nostri media partner Tagesspiegel, Mediapart, Le Soir, InfoLibre, Publico e Dagens Nyheter.
Una versione precedente di questo articolo è stata corretta con le parole esatte della citazione di Nigel Farage.
Tradotto in italiano da Laura Signori

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