La febbre del gas liquido. 60 miliardi dai PNRR per nuovi progetti di combustibili fossili

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Di Maria Maggiore e Lorenzo Buzzoni.
Articolo pubblicato sul media partner italiano di Investigate Europe, Il Fatto Quotidiano.


I governi europei volevano chiudere a tutti i costi entro Natale i negoziati sui nuovi progetti per il gas in modo da inserire nelle conclusioni del vertice europeo di dicembre “la necessità di garantire la fornitura di gas in vista di contratti a lungo termine”. E così è stato. Con almeno 41 nuovi progetti di infrastrutture per il gas che saranno presto approvati, saremo obbligati a sottoscrivere contratti a lungo termine con i fornitori di gas fossile. 

Nella notte del 14 dicembre 2022, i negoziatori del trilogo (Commissione, Consiglio e Parlamento europeo) per la riforma del Regolamento sullo strumento di ripresa e resilienza (RRF), il braccio finanziario del fondo post-Covid da 750 miliardi di euro creato per rilanciare l’economia dell’UE, hanno terminato con un accordo: i fondi per la ripresa post-Covid potranno essere utilizzati per le iniziative di REPowerEU, il piano energetico presentato a marzo dall’esecutivo Von Der Leyen (subito dopo le prime bombe sull’Ucraina) per “ridurre rapidamente la dipendenza dai combustibili fossili russi e accelerare la transizione ecologica”. Peccato che la dipendenza dalla Russia è stata sostituita con nuove dipendenze: dagli Stati Uniti, dal Qatar, dalla Nigeria, dall’Azerbaijan.

Nel voto di novembre i deputati europei hanno poi fatto importanti concessioni, mettendo in soffitta, seppur per il periodo limitato all’emergenza energetica, il principio del “Do not significant harm”: un progetto non può essere finanziato se provoca danni all’ambiente.

Commissione e Consiglio UE volevano spingersi oltre, chiedendo di eliminare un tetto ai finanziamenti per il gas e includere anche il petrolio. Alla fine, si è limitato il danno: sono stati esclusi dai versamenti a fondo perduto dei PNRR, dai fondi regionali e dal Fondo per l’innovazione. Ma gas e petrolio potranno usare i prestiti super agevolati dei PNRR, fino al 30% di 225 miliardi disponibili. Circa 67,5 miliardi di euro saranno quindi anticipati dall’UE per finanziare progetti urgenti (legati alla crisi energetica) in combustibili fossili.

“È una decisione disastrosa per il clima e la sicurezza energetica”, ha commentato Olivier Vardakoulias di Climate Action Network Europe. “Invece di ripotenziare realmente l’UE, la parte finanziaria di REPowerEU sta alimentando una dipendenza dalle importazioni di combustibili fossili, che ci ha portato alla crisi attuale”. I governi hanno tempo fino a marzo per inviare a Bruxelles un nuovo capitolo del loro piano di ripresa nazionale, con i progetti di gas per i quali desiderano finanziamenti. I progetti devono essere operativi entro il 2026.


In Europa ci sono almeno 33 progetti attivi per il GNL e 7 per i gasdotti.

Secondo il database di Global Energy Monitor (GEM), rielaborato da Investigate Europe, dall’inizio della guerra in Ucraina in Europa sono stati annunciati piani per almeno 41 progetti di gas naturale liquefatto (GNL) e 7 nuovi gasdotti. I progetti, che comprendono nuove costruzioni, espansioni di siti esistenti o la resurrezione di progetti già accantonati, sono pianificati in 10 Paesi e avrebbero un costo stimato di qualche decina di miliardi di euro. Si tratta di 26 basi offshore (FSRU e FSU) e 8 progetti di terminali onshore.

La Germania è coinvolta in ben 11 progetti, 5 terminali fissi e 6 basi galleggianti. Una corsa al gas, recentemente denunciata anche dal ministero dell’Economia tedesco, che in un rapporto interno ha ammesso che i terminali GNL previsti in Germania “porteranno a una sovraccapacità”. L’Italia segue con 6 nuovi progetti in discussione, la Grecia con 5 e 2 ciascuno in Estonia, Lettonia e Paesi Bassi.

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Il terminal di gas naturale liquefatto (GNL) aperto di recente a Eemshaven nei Paesi Bassi. 

In Italia si punta su 4 basi galleggianti a Piombino e a Ravenna, più le sarde di PortoTorres e Portovesme, a cui si aggiungono i progetti di centrali di trasformazione del gas liquido a Porto Empedocle e a Gioia Tauro.

A Piombino va avanti la battaglia del Comune per bloccare l’arrivo della nave Golan Tundra, acquistata dal contribuente italiano per 330 milioni di euro, che dovrà fornirci 5 miliardi di metri cubi all’anno, contro i 29 che prendevamo dalla Russia ogni anno. L’8 marzo si terrà l’udienza per il ricorso del Comune di Piombino contro la creazione di un hub di gas liquido nella cittadina toscana. Passati i tre anni della licenza, la Snam vorrebbe parcheggiare la nave in una piattaforma offshore stabile, da cui far partire nuovi gasdotti per allacciare la centrale alla rete nazionale.  

“Sono tutti costi pubblici che lo Stato si accolla per un tempo lunghissimo, si sfrutta una situazione di emergenza a solo vantaggio di una società, la Snam, ma non dell’interesse collettivo”, dice Elena Gerebizza, di Recommon. La stessa Ong ha pubblicato recentemente uno studio sul progetto di pipeline sotto il mare, tra Barcellona e Livorno, spiegando che ci vorranno anni prima che il gas passi attraverso un gasdotto che collega le due città, se mai ce ne sarà uno. Per il momento uno studio di fattibilità è in corso tra la spagnola Enagas e Snam. Nel 2022 l’Italia ha battuto il record di contratti di gas: ben 10 con paesi esteri, con in testa l’ENI in Egitto, Algeria e Libia. A giugno ENI e QatarEnergy hanno firmato un accordo per la creazione del più grande progetto al mondo per la produzione e l’esportazione di GNL che rafforzerà la presenza della compagnia italiana in Medio Oriente. 

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Il cancelliere tedesco Olaf Scholz all’inaugurazione del terminal per gas naturale liquefatto di Wilhelmshaven a dicembre 2022.

Tra i progetti presto finanziati con prestiti agevolati dall’UE, spicca il collegamento sottomarino tra Barcellona e Marsiglia, il cosiddetto H2MED. I governi di Spagna, Francia e Portogallo promettono che trasporterà solo idrogeno verde. Ma non sarà operativo prima del 2030 e non c’è certezza che il mercato dell’idrogeno verde – per ora solo il 5% di tutto l’idrogeno prodotto – riuscirà a alimentare l’intero transito sui tubi. “È una pura assurdità usare come pretesto le ragioni di sicurezza energetica», afferma Esther Bollendorff, di CAN Europe. Qualsiasi azione a breve termine non dovrebbe bloccare decine di milioni di persone in Europa, già alle prese con una crisi climatica, energetica e sociale, in future crisi alimentate da combustibili fossili”. 

Frida Kieninger, di Food & Water Action Europe, aggiunge: “La durata dei contratti, da 10 a 15 anni, mi preoccupa. Stiamo inviando un pessimo segnale ai produttori di tutto il mondo, affinché facciano investimenti e continuino a fare affari sporchi con l’Europa. Tra 10 anni, nel 2033, dovremmo avere una domanda di gas notevolmente ridotta e avremo ancora questi contratti con le compagnie di GNL”.

Le due ONG hanno calcolato l’entità dei costi operativi di ciascun terminale o gasdotto GNL: 19 milioni l’anno per il progetto greco di Alexandroupolis, 90 milioni per il gasdotto Eastmed. L’espansione croata del GNL di Krk è stata stimata a 34 milioni di euro all’anno e il progetto polacco di GNL della costa del Mar Baltico 64 milioni di euro all’anno. “I progetti europei sul gas fossile sono un vero e proprio attacco agli obiettivi climatici dell’UE”, dice l’eurodeputata francese dei Verdi Marie Toussaint. 

Lo scorso maggio, Toussaint, insieme a 48 rappresentanti del Parlamento europeo e del Congresso degli Stati Uniti, tra cui esponenti di spicco del Partito Democratico come Alexandria Ocasio-Cortez e Bernie Sanders, ha scritto una lettera congiunta al presidente Joe Biden e a Ursula Von Der Leyen, chiedendo “l’elaborazione di un piano che garantisca l’assenza di qualsiasi nuovo finanziamento, di qualsiasi nuova licenza di esplorazione o di qualsiasi nuovo permesso per l’estrazione, l’esportazione, l’importazione e le infrastrutture di carbone, petrolio o gas”. Finora nessuno ha risposto alla lettera.