Embargo a chi? Per anni armi “proibite” alla Russia

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Laure Brillaud || ""
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Ana Curic || ""
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Nico Schmidt || ""
Nico Schmidt
Leïla Miñano || ""
Leïla Miñano
17 marzo 2022
Dopo l’invasione russa della Crimea, i 28 Stati dell’Ue si accordarono per un embargo di armi verso Mosca. L’accordo però non prevedeva sanzioni per chi lo violava, e così è stato spesso disatteso. Parigi e Berlino in testa, poi Roma…
Questo articolo è stato pubblicato anche dal nostro media partner italiano Il Fatto Quotidiano il 17 marzo 2022.

“I nostri destini sono legati. L’Ucraina fa parte della famiglia europea”, ha detto Ursula von der Leyen venerdì al vertice di Versailles, mostrando come l’Unione europea stia cercando di compattarsi dopo l’invasione russa dell’Ucraina. Eppure, fino a poche settimane fa, Vladimir Putin era ancora un buon cliente dell’industria europea delle armi. Un terzo degli Stati membri dell’Unione ha infatti esportato armi verso la Federazione russa, secondo i dati del gruppo di lavoro sulle esportazioni di armi convenzionali del Consiglio Ue (Coarm) analizzati da Investigate Europe. Tra il 2015 e il 2020, dieci Paesi hanno esportato 346 milioni di euro di armi, autorizzando più di mille nuove licenze di export. Francia, Germania, Italia, Austria, Bulgaria, Repubblica Ceca, Croazia, Finlandia, Slovacchia e Spagna hanno venduto “attrezzature militari” a Mosca inclusi missili, bombe, siluri, pistole e razzi, veicoli terrestri e navi. Nonostante dall’agosto 2014, dopo l’annessione della Crimea, gli allora 28 Paesi Ue si erano messi d’accordo per un embargo totale di export di armi alla Russia. Ma il commercio è continuato. Il governo Renzi, per esempio, ha autorizzato un anno dopo, nel 2015, la vendita di 25 milioni di veicoli blindati Iveco a Mosca.

La Francia, da sempre leader dell’industria bellica europea, ha inviato 152 milioni di armi alla Russia, “bombe, razzi, siluri, missili, cariche esplosive”, armi letali ma anche “apparecchiature di imaging, aerei con i loro componenti e ‘veicoli più leggeri dell’aria’”. Secondo il sito francese Disclose, le esportazioni francesi includono anche “termocamere per più di 1.000 carri armati russi, così come sistemi di navigazione e rilevatori a infrarossi per jet da combattimento ed elicotteri da combattimento. Il Cremlino li ha acquistati da Safran e Thales, il cui principale azionista è lo Stato francese. Interrogato venerdì 4 marzo, il ministero delle Difesa ha impiegato 11 giorni per rispondere che la Francia si impegna “ad applicare molto rigorosamente” l’embargo del 2014. Le armi vendute alla Russia negli ultimi cinque anni sono “un flusso residuo, risultante da contratti passati, che si è gradualmente estinto”, assicura Parigi.

È la scappatoia prevista dai nostri governi all’interno dell’embargo stesso: la vendita è proibita, ma non ci sono sanzioni e sono fatti salvi i contratti precedenti e persino le trattative precedenti all’agosto 2014. “L’esportazione di armi è soprattutto una decisione politica, i nostri governi avrebbero potuto rifiutare e affrontare un legittimo processo con l’azienda di armi e un giudice avrebbe tenuto conto della situazione politica e della necessità di rispettare un accordo europeo”, spiega Giorgio Beretta, analista dell’Osservatorio permanente sulle armi leggere (Opal).

Anche il governo Renzi si è coperto dietro la foglia di fico degli accordi preesistenti (c’era una trattativa dal 2011) e l’Ufficio export del ministero degli Esteri, Uama – con l’allora ministro Paolo Gentiloni – ha autorizzato la vendita di veicoli blindati terrestri per un valore di 25 milioni. Nel documento di export, visionato da Investigate Europe si legge che alla fine solo 22,5 milioni di euro di blindati Iveco sono stati spediti in Russia. È il modello Lince, assemblato in Russia in uno degli stabilimenti Iveco, con componenti italiani, filmato a inizio di marzo sul fronte ucraino, in un servizio della trasmissione Piazzapulita.

Dopo il 2015, non si registrano altre esportazioni dall’Italia fino all’anno scorso, quando c’è stata un’impennata. Secondo i dati Istat, tra gennaio e novembre 2021, Roma ha consegnato alla Russia 21,9 milioni di euro di armi e munizioni. Si tratta di armi comuni come fucili semiautomatici, pistole, munizioni e accessori, venduti al mercato civile russo che comprende però anche la sicurezza privata, i corpi paramilitari e gli organi speciali dello Stato. Nel computo Istat viene fornito il dettaglio preciso di 18 milioni di armi leggere, mancano quindi all’appello 3 milioni, per i quali i ministeri degli Esteri e dell’Interno non hanno saputo dare spiegazioni. “Temo che l’informazione sia stata secretata”, dice Beretta. Rimane il dato politico: l’anno scorso il nostro Paese ha inviato armi a un Paese che non ha neanche firmato il Trattato internazionale sull’export di armamenti.

Stessa zona grigia in Germania, dove 121,8 milioni di attrezzature militari sono state inviate in Russia durante l’embargo, tra cui navi rompighiaccio, fucili e veicoli di “protezione speciale”, usando anche l’escamotage del dual use, visto che in teoria parte del materiale si può usare anche per scopi civili. Hannah Neuman, eurodeputata verde tedesca, membro della sottocommissione per la sicurezza e la difesa, è sconvolta. “Ogni Paese esporta come vuole – spiega – abbiamo bisogno di una politica comune sull’export di armi, basata sulla trasparenza e il coinvolgimento del Parlamento europeo. Siamo stanchi di accordi sottobanco a beneficio dell’industria delle armi e a scapito della politica estera dell’Ue e della pace”.

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