Sanzioni Ue, così l’Italia ha aumentato l’import di greggio

Un bagnante segue l'arrivo di una nave cargo a Milazzo.
Credit: Lorenzo Buzzoni/Investigate Europe
Un bagnante segue l'arrivo di una nave cargo a Milazzo.

Questo articolo è stato originariamente pubblicato il 03 ottobre 2022 sul nostro media partner italiano Il Fatto Quotidiano.


È una mattina di fine estate nel porto di Milazzo, con il normale via vai di navi e aliscafi per le isole Eolie. Dal promontorio dove secondo Omero c’era la grotta del ciclope Polifemo, spunta la prua di una nave lunga 250 metri battente bandiera maltese. È la Tigani, petroliera salpata il 6 settembre dal porto russo di Ust-Luga e diretta verso la Raffineria di Milazzo (Ram) per consegnare decine di migliaia di tonnellate di greggio estratti negli Urali.


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La cittadina di Milazzo e il suo castello.

La Tigani appartiene alla società Tms Tankers Ldt del magnate greco George Economou, miliardario 69enne, proprietario tra l’altro di una galleria d’arte che porta il suo nome alla Tate Modern a Londra, le cui navi hanno scaricato nei porti europei un totale di 9,21 milioni di tonnellate di greggio russo dall’inizio dell’invasione Ucraina.


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La petroliera Tigani in arrivo al porto.

Nonostante il 5 dicembre scatterà nell’Ue il divieto di importazione per il greggio russo trasportato via mare, l’Italia è il terzo importatore di combustibili fossili provenienti dalla Russia, dietro solo a Germania e Paesi Bassi, come mostrano i dati del Centre for Research on Energy and Clean Air (Crea) analizzati da Investigate Europe insieme al consorzio greco Reporters United.

Così, dai primi bombardamenti in Ucraina di fine febbraio, più di 80 petroliere cariche di greggio russo sono approdate solo in Sicilia, colonizzata fin dagli anni ‘60 con enormi hub per la raffinazione del greggio. A Milazzo c’è la Ram, raffineria di proprietà di Eni e della Kuwait Petroleum, con una produzione di 10 milioni di tonnellate di greggio all’anno, poi rivenduti in Italia, ma anche in Francia e Spagna. A Priolo invece, vicino Siracusa, c’è la Isab, una delle più grandi raffinerie d’Europa, del gigante Lukoil, la compagnia petrolifera non statale più grande della Russia. La capacità di produzione dell’Isab è di 19,4 milioni di tonnellate di greggio l’anno, pari al 22,2% del totale nazionale italiano.


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Navi cargo ancorate in vicinanza di un tratto di spiaggia della città portuale.

Secondo dei documenti riservati visionati da Investigate Europe, tra l’inizio della guerra in Ucraina e agosto, nei due porti di Augusta e Santa Panagia hanno attraccato 56 petroliere cariche di greggio russo da consegnare all’Isab. Un aumento del 622% rispetto allo stesso periodo del 2021. La spiegazione è che negli ultimi mesi l’Isab ha potuto disporre solo di petrolio russo. Prima della guerra, la raffineria acquistava dalla Russia solo il 20-30% del suo fabbisogno in greggio, comprandolo anche da clienti europei. Poi l’arrivo delle sanzioni ha dato la prima mazzata alla società russa.


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Navi cargo nel porto di Augusta, in provincia di Siracusa in Sicilia.

La Isab-Lukoil non è tra le compagnie messe al bando dall’Ue, perché privata e con sede in Italia, ma “le principali banche italiane, prima tra tutte Intesa San Paolo, hanno smesso di concedere all’Isab il credito per comprare greggio, per timore di rimanere coinvolte in attività finanziarie che potevano essere sanzionate”, spiega Carmelo Rapisarda della Cgil di Siracusa. Di fatto, l’Isab si è trovata costretta a comprare greggio esclusivamente dalla Russia, unico Stato disposto a farle credito. E così quando a dicembre scatterà l’embargo al petrolio russo, l’Isab rischierà di chiudere, mettendo in ginocchio uno dei poli petrolchimici più grandi d’Europa dove lavorano circa diecimila persone, il 51% del Pil della provincia di Siracusa. Il ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani, aveva parlato della possibilità di nazionalizzare la raffineria come ha fatto la Germania prendendo il controllo di tre raffinerie della compagnia petrolifera russa Rosneft. Per Enzo Parisi, di Legambiente, l’unica soluzione realistica è invece che “il governo italiano garantisca una linea di credito per consentire alla compagnia di acquistare greggio da fonti non russe”. Ma aiutare una società russa era una soluzione delicata per un governo ultra atlantista, com’era il governo Draghi, e rischia di esserlo anche per il prossimo governo Meloni. Da pochi giorni si è affacciato all’orizzonte il fondo d’investimento americano Crossbridge Energy Partners, che potrebbe acquistare la Lukoil. Per ora non c’è alcuna conferma da parte della società russa che non ha voluto rispondere alle domande d’Investigate-Europe.


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Vista aerea della raffineria di Milazzo.

Nel frattempo, a Milazzo, gli operai hanno terminato di svuotare la cisterna della Tigani con la petroliera che saluta la terra dei ciclopi, direzione Ceyhan, Turchia, per cominciare un nuovo viaggio e continuare ad alimentare la guerra di Putin.


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Le navi Tigani ancorate di notte nel porto di Milazzo.