Pochi produttori di armi i grandi beneficiari della Difesa UE

“Con la guerra in Ucraina, il problema della difesa è diventato l’ordine del giorno dell’agenda politica. La gente vorrà sapere cosa sta facendo di preciso l’Unione in questo ambito: come vengono spesi i soldi, quali progetti sono in lavorazione, come cambieranno le norme”, dice Emily O’Reilly, mediatrice europea, in un’intervista a Investigate Europe.

Investigate Europe si è anche posta il problema di come vengono spesi i soldi e ha analizzato i finanziamenti per lo sviluppo della difesa dell’Unione europea.

La nostra ricerca ha rivelato che il sistema di finanziamento del Programma europeo per lo sviluppo industriale della difesa (EDIDP) è dominato da cinque aziende: Airbus, Leonardo, Thales, Dassault Aviation e Indra Sistemas. Queste aziende sono coinvolte in più di metà dei progetti sovvenzionati (il 75% del totale dei finanziamenti di EDIDP) e nei più costosi. Le corporazioni sono in parte statali ma anche di co-proprietà di fondi d’investimento americani. Gli stessi fondi americani possiedono anche azioni delle compagnie militari statunitensi. Una tale concentrazione del mercato preoccupa gli esperti che abbiamo intervistato. 

I soldi dell’UE sono andati a una manciata di aziende, di co-proprietà di quattro Stati membri. 

Il Programma europeo per lo sviluppo industriale della difesa (EDIDP) è un “programma industriale dell’UE che sostiene la competitività e la capacità di innovazione dell’industria bellica dell’Unione”, con un budget di €500 milioni in due anni (2019 e 2020). I suoi principali obiettivi sono promuovere la cooperazione per lo sviluppo della difesa e stimolare la concorrenza nel settore della difesa europeo.

Le regole sono chiare: “Potranno ricevere finanziamenti solo i progetti collaborativi in cui sono coinvolte almeno tre entità con i requisiti validi da almeno tre Stati membri”. Nella realtà dei fatti, però, i fondi sono stati divisi tra una manciata di Paesi e un piccolo gruppo di grandi aziende.

L’analisi dei nostri dati dimostra che gran parte dei soldi è stata spesa in progetti in cui sono coinvolte grandi compagnie di quattro Stati: Francia, Spagna, Italia e Germania. Gli stessi Paesi che hanno proposto la Pesco, la “Cooperazione strutturata permanente” per la difesa (Permanent Structured Cooperation, PESCO) nata nel 2017.

Dei 41 progetti finanziati da EDIDP, le aziende francesi partecipano a 33, quelle spagnole a 32, quelle italiane a 25 e quelle tedesche a 20. Ma se guardiamo più da vicino dove sono finiti i fondi, possiamo vedere che questi quattro Stati sono anche i principali azionisti di un piccolo gruppo di compagnie militari che hanno ricevuto la maggior parte dei finanziamenti.

Su 302 aziende che hanno beneficiato dei soldi di EDIDP cinque (Airbus, Thales, Leonardo, Indra Sistemas e Dassault Aviation), in diverse combinazioni e con anche altre compagnie, compaiono in 23 progetti su 41, per un valore di €363 milioni. Questo corrisponde al 75% dei totale dei fondi concessi da EDIDP (€480 milioni). Quanto di questi €363 milioni riceveranno ognuna delle cinque aziende non ci è dato sapere, perché non i dati non sono pubblici.



Thales (per il 25% proprietà dello Stato francese) partecipa a 17 dei 41 progetti EDIDP con €230 milioni di contributi UE. Airbus (consorzio con finanziamenti statali francesi, tedeschi e spagnoli) partecipa a 12 progetti con €222 milioni di contributi UE. Leonardo (di cui lo Stato italiano possiede il 30% delle azioni) partecipa a 15 progetti con €301 milioni di contributi UE. L’azienda spagnola Indra Sistemas partecipa a 13 progetti con €205 milioni di contributi UE. Dassault ha vinto direttamente un progetto solo, ma il più costoso, l’Eurodrone, finanziato dall’UE con €98 milioni. Si potrebbe presumere una concorrenza spietata tra queste cinque compagnie.

E invece l’industria bellica europea è come una matrioska. Airbus possiede una parte di Dassault, che possiede una parte di Thales, che possiede parti di altre aziende (come ad esempio Edisoft in Portogallo e Naval Group in Francia). Thales possiede parti di Telespazio e Elettronica insieme a Leonardo (che possiede parte di Hensoldt in Germania). Questi sono solo alcuni esempi di quanto le aziende che ricevono i soldi dell’UE siano interconnesse.



Ma non è finita qui: le cinque compagnie che abbiamo nominato non solo sono quelle che hanno vinto più progetti, ma anche quelle che hanno vinto i progetti più grandi e dal valore più alto. Progetti come l’Eurodrone (il nome ufficiale è MALE RPAS), che ha un valore di €290 milioni e a cui l’UE contribuisce con oltre €98 milioni. È il progetto che ha ricevuto più finanziamenti dall’UE finora ed è un progetto condiviso tra Airbus (Francia, Germania, Spagna), Dassault (Francia), e Leonardo (Italia). In fase di “studio e progettazione” da decenni, finora non è riuscito ad attrarre acquirenti, a parte gli stessi Stati membri che lo stanno sviluppando.

La concorrenza non è felice e gli esperti sono preoccupati 

La Commissione ha dichiarato, tra gli obiettivi dello sviluppo della difesa dell’UE: “Sostenere e agevolare l’intensificazione della cooperazione transfrontaliera delle piccole e medie imprese (PMI) e delle imprese a media capitalizzazione in tutta l’Unione”.

Le regole per le candidature dicono anche che: “Potranno ricevere finanziamenti solo i progetti collaborativi in cui sono coinvolte almeno tre entità con i requisiti validi da almeno tre Stati membri”. Ma non ci sono regole per evitare che le PMI siano di proprietà di grandi aziende transnazionali. La stessa compagnia può possedere tre “imprese” in diversi Stati membri. E se da una parte ci sono, sì, molte PMI coinvolte in progetti condivisi, non otterranno neanche un decimo dei finanziamenti che andranno alle grandi aziende.

Investigate Europe ha contattato alcune delle piccole aziende che hanno ricevuto i finanziamenti ma hanno voluto essere citate. Eppure erano molto critiche nei confronti del peso dato alle grandi aziende nei bandi e del loro potere in un mercato i cui unici clienti sono gli Stati.

Martin Schmalz è un economista tedesco e professore associato di Finanza all’Università di Oxford.Quando gli abbiamo spiegato come sono strutturate le aziende che dominano il mercato militare dell’UE, Scholz si è mostrato preoccupato: “Se si guarda alla [loro] capitalizzazione di mercato, l’impressione è che non vendano i propri prodotti al costo di produzione. Più che per l’indebolimento della concorrenza, io sarei preoccupato per le azioni di lobby: se ci sono interessi così grandi perché si spenda di più sulla difesa, le norme e il dibattito pubblico potrebbero venire distorte”.

Anche un altro economista, Matt Stoller, direttore della ricerca all’American Economic Liberties Project e ricercatore dell’Open Markets Institute, critica la concentrazione del mercato della difesa europeo. “In linea generale, più è consolidato il settore della difesa, meno innovazione c’è e peggiori diventano i prezzi per i governi”, ha detto a IE. “Ma il rischio più grande nelle spese militari è la corruzione perché fare lobbying su somme così alte ha dei ritorni d’investimento altissimi. E il rischio aumenta ancora di più se c’è un piccolo club di insider, che può crearsi perché le proprietà sono sovrapposte o semplicemente perché ci sono pochi committenti”.

I produttori di armi sono sovrarappresentati nei gruppi di esperti della Commissione UE?

Fin dall’inizio le aziende delle armi hanno avuto una forte presenza nei gruppi che hanno plasmato le politiche per la difesa della Commissione. Nel 2015, la Commissione europea ha creato il Gruppo di personalità sulla ricerca nella difesa (Group of Personalities on Defence Research, GoP) con 16 membri. Sette erano rappresentanti dell’industria bellica (Airbus Group, BAE systems, Finmeccanica – nome precedente di Leonardo–, MBDA, Saab, Indra e ASD). Due membri rappresentavano gli istituti di ricerca privati che si occupavano di ricerca militare (TNO e Fraunhofer-Gesellschaft). La società civile non era rappresentata e neanche il mondo accademico. 

La conclusione del report redatto dal GoP sollecitava l’UE a “rafforzare l’intera struttura militare europea” e a finanziare l’operazione con 3,5 miliardi di euro alla ricerca militare. Questa raccomandazione è stata ripresa in toto nell’European Defence Action Plan (Piano d’azione europeo in materia di difesa) pubblicato dalla Commissione a novembre 2016.

Fondi americani sono azionisti in compagnie del settore della difesa sia europee sia statunitensi

Le prime cinque compagnie militari europee che ricevono la fetta più grande dei fondi UE (Airbus, Thales, Leonardo, Dassault e Indra) non solo sono di proprietà parziale degli Stati, tra i loro azionisti c’è una lunga lista di fondi d’investimento americani. E qui la situazione si complica ancora di più. La ricerca di IE dimostra che si tratta di fondi d’investimento che sono anche azionisti di aziende belliche statunitensi concorrenti: Boeing, Lockheed Martin, Raython Technologies, General Dynamic e Northrop Grumman.



BlackRock, ad esempio, possiede percentuali di Airbus, così come di Leonardo, Thales, Indra Sistemas e Dassault. Per quanto riguarda le compagnie statunitensi loro concorrenti, lo stesso fondo possiede percentuali di Boeing, Lockheed Martin, Raytheon, Northop e General Dynamics. La situazione di altri fondi d’investimento USA come Capital e Vanguard è simile: tutti possiedono delle percentuali di diverse aziende europee produttrici di armi, così come di loro concorrenti negli Stati Uniti. (Ulteriori dettagli nei grafici)

Per Matt Stoller anche questo fenomeno è un “problema grave”, “la proprietà comune fa crescere i prezzi, disincentiva l’innovazione e fa diminuire la produzione”. 

Il problema della “proprietà comune”in inglese “common ownership”, emerge quando la maggior parte delle aziende di un settore è parzialmente di proprietà degli stessi azionisti. Il rischio di concentrazione (o anti-concorrenza) è palese e cresce ancora di più se tutte le aziende concorrenti ricevono gli stessi consigli strategici da chi le possiede.

Stoller, però, non può essere certo che questa sia la strategia dei fondi americani nell’industria bellica europea. “Fondi passivi come BlackRock e Vanguard probabilmente non prendono di mira il settore militare, ma comprano azioni su larga scala. È un problema grave il fatto che lontani fondi d’investimento controllino grosse fette di tutte le aziende di un settore specifico”, aggiunge l’economista americano.

La stessa cautela porta Martin Schmalz a dire che il suo sospetto sia che “gli interessi nazionali sono molto più importanti dell’influenza (o mancanza di influenza) di certi azionisti”. Ciononostante, il rischio esiste. “È vero, il recente rafforzamento del settore, combinato con la proprietà parziale, fa temere che la concorrenza, già poca, venga indebolita ancora di più”.

Investigate Europe ha fatto domande su questo rischio all’ufficio della commissaria alla concorrenza, Margrethe Vestager. Non abbiamo ricevuto risposte ufficiali. Fonti nella Commissione hanno spiegato che, per quanto siano consapevoli che “certi mercati della difesa siano altamente concentrati”, possono agire solo se “ci sono le prove di una condotta anti-concorrenziale”.

“Non ho preoccupazioni in merito”, ha risposto alla nostra domanda Therry Breton, il Commissario per il mercato interno responsabile per l’European Defence Fund, durante una conferenza stampa. “Ho sempre insegnato ai miei studenti la differenza tra possedere delle azioni e essere responsabili di un’azienda e della gestione. In Europa spesso confondiamo le due cose”.

D’altro canto, BlackRock ci ha assicurato che “le questioni di politica militare non hanno mai fatto parte delle nostre campagne di sensibilizzazione presso gli stakeholder europei”. Il grande gestore americano di fondi d’investimento che possiede azioni nelle cinque più grandi compagnie militari europee ha risposto alle domande di IE spiegando che loro “non danno indicazioni su come gestire gli affari delle aziende, è una responsabilità dei consigli di amministrazione e della direzione”.

Anche se i funzionari dell’UE e BlackRock garantiscono che non ci siano problemi per la concorrenza, Laetitia Sédou, del Network europeo contro il commercio di armi (ENAAT) è preoccupata: “Stiamo aprendo un vaso di Pandora, l’Europa sta diventando la gallina dalle uova d’oro, una fonte di finanziamenti senza limiti”.

Investigate Europe ha inviato domande a tutti i fondi e alle compagnie menzionate. Solo BlackRock ha risposto in via ufficiale. I cinque produttori di armi Thales, Leonardo, Airbus, Indra Sistemas e Dassault non hanno risposto in tempo per la pubblicazione di questo articolo.