La resistenza dei cittadini di Malles

Creative Commons: Böhringer Friedrich

Una versione di questo articolo è stata precedentemente pubblicata sul nostro media partner italiano Il Fatto Quotidiano il 27 giugno 2022.


Il referendum per un’agricoltura senza pesticidi a Malles, in Alto Adige, primo caso in Europa

Siamo a Malles, cittadina da 5 mila abitanti in provincia di Bolzano. In Alto Adige vengono raccolte ogni anno circa 950 mila tonnellate di mele, il 50% della produzione totale italiana e il 10% di quella europea. Un’economia intensiva con un impatto molto negativo sul territorio. È da tempo che la provincia di Bolzano ha il record italiano per l’uso di prodotti chimici in agricoltura. L’Istituto Superiore per la Prevenzione e la Ricerca Ambientale (Ispra) ha calcolato che per combattere funghi, batteri ed erbacce nel 2016 sono spruzzati circa 62,2 kg pesticidi per ettaro (quasi dieci volte sopra la media italiana di 6,63 kg per ettaro) mentre in 71 parchi giochi pubblici sono stati trovati residui di dodici fitofarmaci, secondo uno studio condotto dal Pesticide action network Europe (Pan). 

Nel 2014 tre quarti degli abitanti di Malles hanno votato in un referendum locale per vietare l’uso dei fertilizzanti e pesticidi nel proprio comune. Ne è seguito un acceso dibattito e un contenzioso legale. Centinaia di agricoltori della zona hanno fatto ricorso contro il voto di Malles, sostenendo che non era di competenza del comune indire un referendum di questo tipo. Il tribunale amministrativo locale ha sospeso il divieto un mese dopo il referendum. Ora la decisione è all’esame del Consiglio di Stato, si attende la sentenza definitiva, che probabilmente arriverà entro la fine dell’anno. 

Dal giudice

Il TAR ora ha sospeso la scelta referendaria

Intanto il dibattito continua nel Palazzo della provincia, a Bolzano. Arnold Schuler, assessore all’agricoltura, alle foreste, al turismo e alla protezione civile della Südtiroler Volkspartei (SVP), afferma: “Siamo di fronte a sfide che vogliamo affrontare. La questione è solo con quali strategie”. All’inizio di settembre, nelle giornate della sostenibilità in Alto Adige, verrà presentato un piano d’azione per trovare soluzioni per il settore del latte, del vino e della frutta nella regione. “Uno dei passi più importanti sarà la raccolta di nuovi dati e di strumenti per un ampio dialogo con gli abitanti”, dice Schuler. Anche lui coltiva mele. Su 8,5 ettari, utilizza un approccio integrato e su 3,5 ettari coltiva mele biologiche. 

“Malles ha portato il tema dei pesticidi in cima all’agenda”, dice Hanspeter Staffler consigliere del partito dei Verdi di Bolzano, che sottolinea come il referendum abbia attirato l’attenzione degli scienziati, dando risalto al tema dell’ambiente e della salute delle persone.  Il suo partito sta lavorando su tre temi principali: l’aumento del sostegno all’agricoltura biologica, l’introduzione di regole di distanza tra le aree in cui vengono utilizzati pesticidi di sintesi e le aziende agricole biologiche o le aree sensibili come le aree protette, nonché il rispetto degli obiettivi per le aree di compensazione ecologica, come siepi, grandi alberi o terreni incolti. Per Staffler, l’argomento della necessità di raccogliere dati è valido, ma viene anche usato come mezzo per ritardare le riforme tanto necessarie. “Ho lavorato a una proposta dettagliata per il monitoraggio sistematico dei pesticidi, ma già in sede di commissione è stata respinta dall’SVP”, afferma. 

Ora la Commissione europea ha appena proposto di limitare l’uso dei pesticidi del 50% entro il 2030. I melicoltori dell’Alto Adige si chiedono come si possa raggiungere questo obiettivo senza ridurre la produzione. “Siamo già a un livello in cui sarà difficile per la maggior parte dei coltivatori se verrà vietato un altro 50% di sostanze. Negli ultimi anni, molte sostanze hanno già perso la loro approvazione e abbiamo una scelta limitata di prodotti fitosanitari”, dice Harald Weis, presidente della cooperativa Roen (660 membri e 54 mila kg di mele nel 2021). L’attuazione della proposta della Commissione avrebbe un impatto negativo sui volumi di produzione, spiega Weis, che ritiene che ci sia troppo allarmismo riguardo i pesticidi perché adesso, grazie alla tecnologia, si riesce a limitarne la diffusione nei campi. “Il glifosato è un prodotto che non ha quasi nessun impatto negativo sul suol”, sostiene Weis. Oltre alla melicoltura convenzionale, la cooperativa Roen vende anche mele biologiche (10% della produzione). “Ma i costi della produzione biologica sono più alti e il mercato è limitato”, dice Weis.

Il problema della domanda limitata è affrontato anche da Martina Hellrigl della cooperativa sociale agricola Vinterra di Malles. La cooperativa coltiva ortaggi e cereali su 4,5 ettari e dove il terreno confina con un meleto convenzionale, vengono coltivati soprattutto farro e verdure che crescono sottoterra. “Vendere le nostre verdure è un’impresa difficile perché bisogna abituare le persone a riscoprire la qualità del cibo sano. Sarebbe più facile commercializzare vicino a una città più grande. Ma stiamo notando che la domanda è in aumento”.

Raimuond Prugger coltiva mele biologiche su un piccolo appezzamento circondato di campi dove le mele vengono coltivate in modo convenzionale. Prima la sua azienda agricola coltivava mele con l’utilizzo di pesticidi ma poi una delle figlie, che ha studiato agricoltura biologica a Vienna, ha convinto le sorelle e il resto della famiglia a buttarsi sul biologico. Questa scelta ha ridotto la produzione di mele del 20-30% rispetto a quando l’azienda faceva uso della chimica, Ma Raimound Prugger non si pente, anzi è convinto che nel futuro “la produzione biologica potrà essere un argomento in più per la vendita”. Il suo rammarico sta nel fatto che, nonostante ci sia una disponibilità a guardare al biologico tra gli agricoltori dell’Alto Adige, l’iniziativa stia andando a rilento. “E questo perché non c’è una spinta da parte degli acquirenti delle mele (le cooperative) di destinare una percentuale più alta alla coltivazione biologica, ma l’iniziativa viene solo dalla singola volontà degli agricoltori, stanchi di avvelenare la loro terra”. 

Il mercato

In Alto Adige sono raccolte 950.000 tonnellate di mele, il 50% della produzione italiana e il 10% dell’Ue 

Tuttavia, anche se il referendum sui pesticidi di Malles dovesse essere dichiarato non valido, ci sono già stati grandi vantaggi. L’azione di Malles ha dato il via ad altri referendum nelle vicinanze, che, anche se non sono riusciti a vincere, hanno portato la tematica dei pesticidi al centro del dibattito pubblico. È il caso del quesito della Svizzera tenutosi nel giugno del 2021 che ha visto quasi il 61% cittadini respingere le due iniziative che avrebbero imposto un divieto nazionale sui pesticidi sintetici entro 10 anni e messo fuori legge i generi alimentari importati prodotti utilizzando tali componenti. 

Ma anche il referendum sulla creazione di un biodistretto del Trentino, tenutosi nel settembre del 2021, il cui obiettivo era “di innalzare nella provincia di Trento le coltivazioni biologiche al 50% dei terreni agricoli, rispetto all’attuale 6% e rispetto a una media italiana del 15%”, spiega Fabio Giuliani, portavoce del comitato promotore. “Purtroppo, anche a causa del Covid, non siamo riusciti a coinvolgere appieno la popolazione e quindi a raggiungere il quorum necessario per rendere valido il referendum”, dice Giuliani.

Per quanto riguarda Malles, il referendum ha contribuito a far nascere un forte senso della direzione da seguire sperimentando metodi alternativi ai pesticidi e in modo più cooperativo. D’altra parte, fenomeni socio-economici come l’accaparramento dei terreni e la loro concentrazione nelle mani di pochi sono stati rallentati. “Prima del referendum, i coltivatori di mele provenienti dall’esterno del comune hanno mostrato sempre più interesse per le aree ancora disponibili a Malles, oggi utilizzate per l’allevamento del bestiame”, spiega Wallnöfer: “I piccoli agricoltori e allevatori stavano perdendo sempre più terreno perché non potevano pagarlo quanto i produttori di mele più grandi (circa 700 mila euro l’ettaro). Ma con il referendum e l’incertezza sulle possibilità di utilizzo dei pesticidi, questo processo si è bloccato”. “Già i miei nonni avevano le mucche e noi vogliamo continuare così”, aggiunge Wallnöfer, mentre porta le sue venti mucche verso la stalla. 

Poi indica alcune farfalle a macchie rosse che si posano sui fiori del prato. “Le abbiamo avute solo ad altezze più elevate quattro o cinque anni fa. Ora stanno tornando giù”, dice. Anche se non ci sono ricerche definitive sul perché le farfalle siano tornate, per Wallnöfer questi risultati sono una speranza che l’esposizione ai pesticidi si sia effettivamente ridotta e che il lavoro su questo tema stia dando i suoi frutti. Le farfalle che tornano sui prati, l’incoraggiamento di altre regioni, persino le discussioni a Bruxelles: sono tutti incentivi a continuare.