Altissima emergenza abitativa a Milano. Intervista a Ermanno Ronda

IE: Milano è diventata una “città evento”, che attira sempre più turisti e investimenti immobiliari. È positivo?

Ronda: Prima non era così. Milano ha sempre avuto una tradizione di accoglienza, si diceva “Milano col cuore in mano”. Negli anni 70 questa città accoglieva le classi operaie. Poi il settore immobiliare si è via via liberalizzato. Grandi eventi come l’Expo nel 2015 hanno contribuito a cambiare la città e a espellere tutti coloro che non possono stare sul mercato delle locazioni e soprattutto della compravendita. A livello nazionale la legge sugli affitti (la 431, del 1998) lascia la libertà al proprietario di fissare il canone. Risultato: a Milano solo lo 0,6% degli affitti è “concordato” (canone ridotto in cambio di tasse al 10% per il proprietario). Il sistema del canone ridotto dovrebbe aiutare la classe media, troppo ricca per una casa popolare e troppo povera per abitare a Milano. Ma nessuno lo usa.

IE: Quali sono i maggiori problemi dell’accesso alla casa a Milano? 

Ronda: C’è un’elevatissima emergenza abitativa, derivante dagli sfratti per morosità. I prezzi degli affitti esplodono, il salario è sempre più basso e il potere d’acquisto è crollato, anche a causa della ripresa dell’inflazione. Nel 2021 c’erano 20.300 convalide di sfratto di cui 5.472 già rese esecutive dal Tribunale.
A queste si aggiungono 3000 esecuzioni per pignoramenti immobiliari, di chi non riesce più a pagare il mutuo. La causa è legata anche a un problema di salari non adeguati al costo della vita, ma la trasformazione della città, voluta dalle ultime giunte, anche di centro sinistra, il cavalcare sugli eventi internazionali, con un marketing urbano che attira investimenti immobiliari, ha ormai un effetto su tutta la città, anche sulle aree periferiche.

IE: E le case popolari, ce ne sono a sufficienza?

Ronda: Oggi le case popolari sono solo il 10% dello stock abitativo di Milano. Restano un numero importante, 62.000 alloggi, ma assolutamente insufficiente alle domande di edilizia pubblica che il Comune accoglie ogni anno. A Milano ci sarebbero 30.000 domande di famiglie con un bisogno di casa popolare. Di queste solo il 3% trova una casa, circa 700-800 alloggi all’anno. Di fatto, con la riforma regionale, le domande sono scese oggi a 17.000, ma è sempre un numero altissimo a cui il Comune non dà praticamente risposta.

IE: Che è successo nel 2016?

Ronda: Con la riforma della Regione Lombardia del 2016, si sono induriti i criteri per ottenere una casa popolare. L’introduzione di una piattaforma online, discrimina alcune fasce di popolazione che non hanno accesso a internet. Poi nella prima versione era stato introdotto un freno agli stranieri, che dovevano dimostrare con un documento originale del paese d’origine, di non possedere altri beni immobili. Questo criterio assurdo è stato poi tolto, grazie a delle sentenze della Corte Costituzionale e del Tribunale di Milano. Ma è stato mantenuto un sistema a punti per cui chi risiede da più di 15 anni nella regione Lombardia o da più di 10 anni nel Comune, riceve più punti. Quindi gli stranieri, arrivati da poco, restano discriminati.

IE: E i poveri, riescono a trovare un alloggio pubblico?

Ronda: I veri poveri sono completamente esclusi dalle case popolari, essendoci uno sbarramento per chi ha un Isee inferiore a 3.000 €. Il povero è fuori, oggi è escluso dalle case popolari perché nella logica della Lega il sistema si deve autofinanziare, non ci sono finanziamenti pubblici per la casa. 
Mettiamo il problema sotto il tappeto, lo rendiamo invisibile, lo riduciamo a una concezione di “welfare di scarto”. Il welfare a cui ci eravamo abituati dagli anni ‘70, quando Milano era una città inclusiva, oggi non c’è più. 

IE: C’è anche un problema di alloggi vuoti?

Ronda: A noi risulta che 12mila alloggi siano non occupati, di cui 4.200 del Comune e il resto dell’agenzia regionale che gestisce l’edilizia residenziale, Aler. Alcuni alloggi vengono ripresi dal Comune e anche restaurati. Ma pochissimo rimessi in affitto. Cosa fa il Comune, aspetta che arrivi un grande investitore straniero per “regalargli” altri spazi pubblici?

IE: Il Comune sta comunque negoziando sempre di più dei pacchetti di social housing, in grandi appalti su spazi pubblici. È la strada da seguire?

Ronda: Potrebbe, ma non viene fatto nel modo giusto. Prendete l’esempio di Cascina Merlata, una vasta area periferica, riscoperta durante d’Expo 2015 che il Comune ha affidato a fondi privati e l’immobiliare di Cassa Depositi e Prestiti, CDP sgr, per costruire, tra l’altro, molti appartamenti di social housing. Il reddito ammesso andava comunque fino a 99 mila euro all’anno, che non sono pochi e sono stati fatti dei colloqui per scegliere il miglior inquilino. Se social housing vuol dire lasciar fare ai privati, non è più social. Il Comune dovrebbe gestire direttamente i canoni agevolati e ottenere che nei grandi progetti, una parte vada alle case popolari, gestite dal pubblico, non dal privato.
Altrimenti il privato cercherà profitti sempre più alti. Ora con l’inflazione è già stato chiesto un aumento del canone. 

IE: Il social housing è per il ceto medio impoverito, no?

Ronda: Non lo è più. Due terzi della popolazione milanese non può permettersi neanche un affitto da housing sociale, perché con 2.000€ netti al mese, un affitto di housing sociale che va oltre i 100€ annui al metro quadrato non se lo può permettere nemmeno quel famoso ceto medio impoverito di cui tanto si parla. Ormai anche quel segmento è precipitato.