Genova, Amburgo e gli altri. Tutti i porti delle tratte armate

BAHRI-YANBU-scaled.jpg

Lorenzo Buzzoni || ""
Lorenzo Buzzoni
Manuel Rico || ""
Manuel Rico
30 marzo 2022
IL REPORTAGE Come i portuali europei provano a fermare le navi saudite con le bombe per lo Yemen.
Sono le sei di mattina, la lanterna svetta sul porto di Genova. Un portuale indica la banchina dove la Yanbu ha attraccato il giorno prima. La nave appartiene alla Bahri, compagnia marittima saudita che gestisce il trasporto di petrolio e la logistica militare di Riyadh. Delle sue 90 navi, 6 trasportano armi. La Yanbu è una di queste: arriva dagli Stati Uniti, una notte di riposo prima di partire verso le coste dell’Arabia Saudita. Il rituale si ripete ogni tre settimane. Il suo arrivo è anticipato dalle camionette della polizia che prevengono qualsiasi tentativo di proteste. “Nemmeno ci fosse la bomba atomica dentro”, dice un lavoratore. L’atomica non c’è, ma ci sono carri armati, mezzi blindati, elicotteri ed esplosivi, per la maggior parte americani, utilizzati nel conflitto in Yemen.
Nel 2019 Disclose ha rivelato che la Yanbu aveva caricato sei container di munizioni ad Anversa e si stava dirigendo a Le Havre per caricare 8 cannoni Caesar, fabbricati da Nexter, azienda del governo francese. La reazione pubblica fu immediata. La Yanbu non fece scalo in Francia e proseguì verso Genova per caricare quattro generatori elettrici dell’italiana Teknel. “Sono da ritenersi ad uso militare spiega Carlo Tombola di The Weapon Watch sia per la tipologia sia per il destinatario: la Guardia Nazionale Saudita, corpo militare dispiegato in Yemen”. I portuali organizzarono uno sciopero con pacifisti, gruppi di sinistra e sindacati “Porti chiusi alle armi, porti aperti ai migranti” era lo slogan che dava il benvenuto alla nave. Dopo un blocco di otto ore, la Yanbu abbandonò il porto senza i generatori. “Adesso che a Genova le Bahri non caricano più armi italiane, lottiamo per impedire il transito di armi verso Paesi in conflitto”, dice Riccardo Rudino, del Calp, collettivo autonomo dei portuali impegnato contro “le navi della guerra.” 

La legge 185/90 vieta l’esportazione di armi, ma anche il loro transito, verso Paesi “in stato di conflitto armato”, “in cui sia dichiarato l’embargo totale o parziale di forniture belliche” e “i cui governi siano responsabili di gravi violazioni delle convenzioni internazionali in materia di diritti umani”. L’Arabia Saudita spiega Tina Marinari di Amnesty Italia viola i diritti umani, è sotto embargo ed è impegnata nel conflitto in Yemen”. La protesta riguarda anche la sicurezza sul lavoro. “Le Bahri trasportano esplosivi. Il porto è dentro Genova. Un’esplosione provocherebbe la distruzione di parte della città e la morte di centinaia di persone” dice Josè Nivoi, leader del Calp. 

Martin Dolzer, ex membro del Parlamento di Amburgo, guida il movimento “Ziviler Hafen” per fare di Amburgo, città in cui ci sono 90 aziende che producono armi, un “porto libero dalle armi”. “Le navi Barhi non passano, ma ci sono molte armi che partono dalla Germania verso Paesi dove i diritti umani sono calpestati”, dice Dolzer. Nel contratto di lavoro, aggiunge, i portuali devono firmare una clausola in cui accettano di lavorare con navi che trasportano armi. Il movimento punta a raccogliere 65 mila firme (ad oggi sono 16 mila) per attivare un referendum che vieti l’esportazione di armi dal porto e l’istituzione di un tribunale col compito di giudicare, sulla base della legge, le responsabilità dei crimini commessi. Oggi le Bahri continuano ad attraccare a Genova e anche a Sagunto, sud della Spagna, dove a ottobre c’è stato un carico di armi iberiche. Si sospetta però che l’Arabia Saudita continui i trasporti “in modo più discreto, con altre navi di piccole compagnie”, dice Luis Arbide, portavoce de “La guerra empieza aquí”, (La guerra inizia qui), commissione che monitora le navi Bahri in Spagna. I portuali sentono di essere stati abbandonati dalla politica e dai sindacati. Cinque del Calp sono stati indagati per associazione a delinquere per i presìdi contro la Bahri. “La Digos è entrata in casa alle 5 del mattino, ci ha sequestrato telefono e pc e trattato come delinquenti”, confida Riccardo Rudino. “D’altronde la Liguria produce armi: Oto Melara, Fincantieri, Leonardo. Questo crea problemi a livello politico”, spiega José Nivoi. Il processo è fermo, ma pende come un cappio sul collo dei portuali. “Non mi pento di quello che ho fatto”, dice Riccardo. Il 31 marzo terrà una manifestazione “in solidarietà dei popoli ucraino e russo, a difesa del principio secondo cui l’Italia ripudia la guerra e si astiene da ogni fornitura militare alle parti belligeranti”.
La nave “Bahri Yanbu” al porto di Genova.Lorenzo Buzzoni

Portuali di Genova contro le esportazioni di armi.Lorenzo Buzzoni

Inizio in bold

La guerra in Yemen e la sua crisi umanitaria vanno avanti da 8 anni. Il conflitto vede, dal marzo 2015, l’Arabia Saudita e altri otto Stati per lo più arabi sunniti combattere il movimento ribelle musulmano sciita Houthi che ha preso il controllo di buona parte del Paese costringendo il presidente Abdrabbuh Mansour Hadi all’esilio. Riad giustifica l’intervento con l’appoggio dell’Iran agli Houthi. Finora il conflitto ha causato distruzioni immense, 20.000 vittime civili e 4 milioni di sfollati.

Questo articolo è stato originariamente pubblicato sul nostro mediapartner Il Fatto Quotidiano il 28/03/2022.

Storie cross-border da un'Europa che cambia, direttamente nella tua mail.