Eurodroni sempre più strategici, ma il mezzo europeo sarà pronto nel 2029

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Lorenzo Buzzoni || ""
Lorenzo Buzzoni
8 aprile 2022
Bombe o sorveglianza? Progetto datato (e con difetti tecnici) il cui uso divide Parigi e Berlino: l’Italia ci investe 2 miliardi.
“Dobbiamo diventare un attore autonomo e strategico. Per questo dobbiamo dotarci di un arsenale di hard power”, annunciava nel 2020 il Commissario francese alla difesa, Thierry Breton. Il ruolo dei droni turchi Bayraktar TB2, impiegati dalle forze ucraine contro la Russia, mostra come questa tecnologia sia sempre più decisiva nei teatri di guerra. La Commissione ha puntato sull’Eurodrone per la nuova stagione di riarmo: nel 2019 questo progetto ha ricevuto 100 milioni di euro (senza gara) su un totale di 500 milioni. Un segnale politico per siglare l’alleanza tra 4 grandi paesi: Francia, Germania, Italia e Spagna (in totale spenderanno 7,1 miliardi di euro) e le rispettive industrie, Airbus Defence and Space, Dassault Aviation e Leonardo. L’UE finanzia ma non decide, spiega una fonte di Airbus: “La Commissione non ha il diritto di intervenire nei negoziati che abbiamo condotto coi paesi coinvolti”. 

Saranno 60 gli Eurodroni prodotti e consegnati ai quattro partner: l’Italia ne acquisterà 15 per 2 miliardi di euro. “L’attenzione del governo italiano verso i droni è crescente”, sottolinea Francesco Vignarca di Rete Pace e Disarmo, che ricorda come a settembre il governo abbia aperto alla possibilità di armare i droni Reaper, fino a quel momento usati per missioni di sorveglianza. L’Eurodrone avrà un’apertura alare di 30 metri e una capacità di sorveglianza o di attacco per circa 20 ore. La prima consegna però non arriverà prima del 2029, ben 15 anni dopo il lancio del progetto, col rischio che “compreremo un equipaggiamento obsoleto quando sarà pronto”, dice il senatore francese Cedric Perrin. Questo progetto, d’altra parte, arriva dopo 20 anni di tentativi di sviluppare un drone europeo: tutti falliti per le divisioni fra i Paesi, che alla fine hanno finito per comprare droni “MALE” stranieri, come gli americani Predator e Reaper e gli israeliani Hermes e Heron. 

La svolta arriva nel 2013 quando la Francia annuncia l’acquisto dei Reaper americani da impiegare nella missione in Mali. A quel punto “Dassault, Airbus e i colleghi di Leonardo dicono ‘un momento, noi sappiamo come costruire questi droni, abbiamo una grande industria aeronautica, vogliamo produrli noi’”, rivela una fonte vicina ad Occar, l’agenzia con sede a Bonn che gestisce i programmi europei di cooperazione nel campo degli armamenti. 

Qui arrivano i primi problemi, perché ogni paese ha in mente un uso diverso per il drone: la Francia vuole un’arma da impiegare nel Sahel, la Germania punta ad attività di sorveglianza sul proprio territorio. Alla fine passa la proposta tedesca, Airbus Defence (società franco-tedesca-spagnola) diventa capofila del progetto. Il presidente della commissione Difesa del Senato francese, Christian Cambon, è molto critico: “Con due motori e un peso di dieci tonnellate, questo drone sarà troppo pesante, troppo costoso e difficile da esportare”. 

Altro motivo di scontro è stato la necessità o meno di armare l’Eurodrone. Il 3 febbraio 2021 la coalizione di governo tedesca stabilisce che “è un progetto concepito principalmente come un sistema di ricognizione”. In aprile, poi, la commissione Bilancio del Bundestag indica come requisito per il via libera del progetto che “nessuna munizione potrà essere acquistata per il sistema Eurodrone e che non ci sarà nessun addestramento alle armi tattiche per gli operatori”. 

La forza dell’Eurodrone sta nell’essere un prodotto completamente europeo, una tecnologia 

che non dipende da paesi terzi. “I primi Reaper acquistati dalla Francia erano completamente gestiti dagli americani. Quando si voleva farlo volare da qualche parte, bisognava chiedere il permesso al Congresso Usa” spiega Perrin. 

Ed è proprio sulla minaccia del controllo Usa che si gioca la scelta su chi fornirà i motori, una commessa da 500 milioni di euro. Airbus Defence dovrà scegliere fra il Catalyst di Avio Aero, azienda italiana di proprietà dell’americana General Electric, e l’Ardiden TP3 di Safran Helicopter Engines. “Sarebbe scioccante che i contribuenti europei finanziassero un soluzione non europea”, ha dichiarato a La Tribune Franck Saudo, ad di Safran, alludendo alla possibilità che l’esportazione del mezzo sarebbe subordinata all’ok di Washington. Bugie, replica Avio Aero. Posizione confermata da una fonte vicina a Occar: “Safran fa il suo gioco. Secondo una nostra prima analisi, il motore di Avio soddisfa le condizioni quanto quello di Safran. Saranno i costi e le prestazioni a guidare la scelta”. La decisione, rinviata più volte, è attesa a giorni.

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