Armatori greci e assicuratori: la sponda al petrolio di Putin

Credit: Alexia Barakou

Questo articolo è stato originariamente pubblicato il 03 ottobre 2022 sul nostro media partner italiano Il Fatto Quotidiano.


C’è ancora un clima mite nel porto di Murmansk, a nord del Circolo Polare Artico. È domenica 28 agosto. La nave Malibù sta per lasciare la cittadina russa, dopo aver caricato migliaia di tonnellate di greggio attese a Rotterdam. Un viaggio di routine per la petroliera di proprietà greca. Ma al momento di attraccare nel grande porto olandese, il futuro della Malibù, come di altre centinaia di petroliere europee, si è fatto molto più incerto. Il giorno precedente, il 2 settembre, Italia, Francia, Germania, insieme agli altri partner del G7, hanno annunciato l’intenzione di imporre un tetto all’export di petrolio russo verso Paesi terzi.

La decisione sostenuta dalla Commissaria Ue, che ha da poco presentato il suo piano di regolamento sul tetto al prezzo del petrolio, è stata l’ultima mossa dell’Occidente per destabilizzare la macchina da guerra russa. Ci sono voluti mesi perché l’Europa agisse, ma dopo settimane di indecisione su come arginare il flusso di miliardi verso il Cremlino, il 30 maggio i governi europei si sono infine messi d’accordo su un pacchetto di sanzioni che prevede l’embargo al petrolio russo trasportato via mare dal 5 dicembre prossimo e ai prodotti derivati da febbraio 2023.

Il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, ha definito l’accordo un “risultato notevole”, visto che usciva da settimane di duri negoziati con l’Ungheria e i Paesi con una forte industria marittima che minacciavano il veto. L’accordo si è potuto trovare solo perché dall’embargo è stato ritirato il trasporto tramite oleodotti, che continuerà per alcuni Paesi più vicini alla Russia, come Germania, Polonia e Ungheria. L’import di carbone dalla Russia è stato invece vietato dal 10 agosto. Sull’embargo al gas però non c’è unanimità. Mentre la maggiore banca russa, Sberbank, e altri istituti di credito sono stati banditi dal sistema di pagamento globale Swift, il vero impatto delle sanzioni non si farà sentire a Mosca ancora per qualche tempo. Con l’import di energia – petrolio, gas, carbone – l’anno scorso la Ue ha consegnato alla Russia 400 miliardi. Con il trasporto via mare, le società europee continuano a riempire le casse russe.


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La partenza della nave Malibu dal porto di Murmansk è solo uno dei quasi 800 viaggi di petroliere greche con partenza dalla Russia dall’invasione dell’Ucraina.

Dall’inizio della guerra in Ucraina fino alla fine agosto, secondo i dati del Centro per la ricerca sull’energia e l’aria pulita (Crea) e di Equasis, elaborati dal consorzio di giornalisti greci Reporters United con Investigate Europe, il 40% dell’export russo di combustibili fossili via mare era destinato all’Ue, pari a 75 milioni di tonnellate lorde. Dall’inizio della guerra gli acquisti europei hanno fornito 279 milioni di euro al giorno a Mosca. I maggiori importatori di petrolio, gas e carbone su nave sono stati i Paesi Bassi, per un totale di 20,71 milioni di tonnellate lorde ricevuti nei porti olandesi. L’Italia si colloca al secondo posto (9,06 milioni), davanti a Francia e Germania. D’estate, poi, la tendenza si è invertita per il petrolio: i Paesi europei hanno cominciato a comprare meno greggio dalla Russia, avvicinandoci all’embargo parziale previsto per fine anno. Tranne tre Stati – Italia, Grecia e Danimarca – per i quali cui le importazioni sono aumentate rispetto ai primi mesi del 2022.



Secondo i dati combinati di ministero della Transizione ecologica e di Crea, nel 2021 l’Italia ha importato 2,19 milioni di tonnellate di greggio russo, mentre solo tra marzo e giugno scorsi erano 4,07: un incremento di circa il 185%, dovuto alla presenza in Sicilia di Lukoil, la grande raffineria russa privata in via di cessione a una società Usa, che ormai può comprare solo dalla Russia.

Dal 24 febbraio, quando la Russia ha invaso l’Ucraina, a fine agosto le navi europee hanno alimentato questo trasporto verso la Ue con 1.513 viaggi dai porti controllati da Mosca: le navi greche la fanno da padrone con il 35% dei viaggi (799), davanti alle petroliere tedesche. Non è una novità: gli armatori greci controllano il 30% del trasporto globale di petrolio. In Grecia sono uno Stato nello Stato, fatto di famiglie potentissime. La Malibù fa parte del gruppo Tms di proprietà del miliardario George Economou. Le sue navi hanno effettuato 78 viaggi dall’inizio della guerra. Poi ci sono le famiglie Alafouzos e Vardinoyannis che controllano tre delle tv nazionali private greche e, mentre i loro media condannano regolarmente “l’invasione brutale della Russia”, le loro imprese continuano a trarre profitto dal trasporto di combustibili fossili. Intanto gli armatori greci, maltesi e ciprioti mandavano i loro governi a prendere tempo o minacciare veti quando a Bruxelles si discuteva di un embargo su petrolio e gas.


George Economou ha vinto il premio Personalità dell’anno del settore trasporti marittimi greci nel 2019.

A Melina Travlou, presidente dell’Unione degli armatori greci, a giugno è stato chiesto se non stavano finanziando la guerra di Putin: la sua risposta è che l’associazione condanna le azioni della Russia in Ucraina, ma “gli armatori greci non stanno facendo nulla di illegale, non stanno violando alcun embargo”.

Melina Travlou, presidente dell’Unione degli armatori greci, sulla copertina di Forbes Grecia a giugno 2022.

Sulla stessa linea Viken, il più grande spedizioniere norvegese, il cui presidente ha dichiarato a Investigate Europe che c’è poco da fare, a parte consigliare ai clienti di non entrare nei porti russi. “A oggi i nostri clienti non sono su nessuna lista di sanzioni e il petrolio russo è una merce legale”, ha dichiarato. “I contratti sono stati stipulati molto prima dell’invasione dell’Ucraina da parte della Russia”. Stesso problema solleva lo “ship-to-ship” il trasbordo di petrolio da nave a nave, che i sistemi di tracciamento delle navi stanno registrando sempre di più. Investigate Europe è stata nella baia di Lakonikos, il 19 settembre, dove almeno sei petroliere si stavano preparando per un trasferimento “sts” con rischi altissimi per l’ambiente e la sicurezza in caso di incidenti.



Poi c’è il business degli assicuratori. A marzo, il governo ucraino ha esortato il Gruppo internazionale dei club di protezione e assicurazione (Igp&i), un’organizzazione che raggruppa le mutue che forniscono la copertura della responsabilità civile per il 90% del carico marittimo globale, “a interrompere il flusso di denaro che finanzia la strage di innocenti”. I dati Crea mostrano che su 3.176 spedizioni internazionali che hanno lasciato la Russia dall’inizio della guerra, le società di assicurazione sono elencate 2.583 volte. Dei 15 nominati, i 13 membri dell’Igp&i coprono quasi tutti i viaggi, compreso quello della Malibù. Alla domanda sul loro eventuale ruolo nel contribuire al finanziamento dello Stato russo, un portavoce ha risposto: “Rispettiamo sempre le sanzioni in vigore. Allo stesso tempo seguiamo da vicino gli sviluppi e facciamo costantemente delle valutazioni su questo argomento”.



Il gruppo ambientalista Global Witness ha stimato che i membri dell’Igp&i, con sede nel Regno Unito, hanno permesso l’esportazione di 40 milioni di barili di petrolio nel primo mese di guerra. “Senza questa assicurazione, sarebbe quasi impossibile per la Russia mantenere il suo attuale export di combustibili fossili, lo stesso che finanzia la guerra in Ucraina”, ha dichiarato l’investigatrice senior Lela Stanley a Investigate Europe: “I finanziatori del commercio russo di petrolio, gas e carbone stanno sostenendo un regime che uccide civili innocenti, mentre alimenta la crisi climatica”. Le cose potrebbero ora cambiare. Il G7 sta spingendo per un accordo globale su un tetto al prezzo del petrolio. La Commissione europea fa da sponda con un regolamento che sarà presentato tra pochi giorni: le compagnie europee di trasporto e assicurazione non potranno più esportare verso i Paesi terzi petrolio, se non al di sotto del prezzo stabilito a livello del G7. Pronta è arrivata la risposta del vice primo ministro russo, Alexander Novak: Mosca si rifiuterà di trattare con i Paesi che adotteranno tetti al prezzo del petrolio o del gas.


Credit: Will Rose/Greenpeace
Attivisti di Greenpeace Nordic di fianco a una petroliera greca in acque danesi protestano per il ruolo delle navi europee nel trasporto di combustibili fossili dalla Russia.

#FuellingWar è un’inchiesta congiunta di Investigate Europe e Reporters United.
Hanno contribuito: Lorenzo Buzzoni, Ingeborg Eliassen, Manuel Rico, Nico Schmidt, Amund Trellevik and Bendik Støren (Bergens Tidende). Grafici: David Meidinger, Hendrik Lehmann (Tagesspiegel Innovation lab).