Trattato sulla Carta dell’Energia: stallo nella riforma, l’UE teme per il clima

A blended image of a table at a tribunal and factory smoke

Gli otto cicli di negoziati che avevano lo scopo di adeguare il trattato agli obiettivi per il clima, sono falliti. Nel frattempo, gli investitori stranieri possono continuare a fare causa ai governi quando vengono approvate norme che minacciano gli interessi delle multinazionali. Diversi Stati UE sono già coinvolti in cause legate all’uscita dal carbone e ai divieti di trivellazione in mare aperto.

​Con l’arrivo della conferenza ​​ECT ​​​il ​​​14 e 15 dicembre 2021, l’ansia si fa strada tra le delegazioni europee. Molti Stati stanno prendendo in considerazione il ritiro dal trattato per paura che possa far naufragare gli obiettivi per il clima e che miliardi di euro dei contribuenti finiscano a compagnie private.

Nonostante ci sia una sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea che dichiara l’ECT incompatibile con il diritto europeo, gli Stati membri continuano a essere a rischio di azioni legali nel prossimo futuro. Le aziende, le istituzioni arbitrali e gli esperti non si aspettano un gran cambiamento visto che le cause potrebbero essere spostate in paesi terzi, rispetto all’UE.

Analisi precedenti di IE hanno mostrato che tre quarti di tutte le cause legate all’ECT coinvolgono aziende UE che fanno causa a Stati UE. Solamente in Europa, l’infrastruttura del fossile protetta dal trattato ha un valore di 344,6 miliardi di euro. Dato che in palio ci sono indennizzi enormi, molti deputati europei hanno accusato l’ECT di “​essere una minaccia per l’ambizione climatica dell’UE​”, che si è impegnata ad arrivare a zero emissioni entro il 2050.

La Commissione Europea ha riferito a IE che, nel tentativo di arrivare a un consenso, i lavori continueranno anche nel 2022, con un summit a giugno. Ma di fronte a negoziati rallentati e alla scarsa influenza dei giudici UE, a porte chiuse, alcuni governi stanno perdendo le speranze.

Dai leak trapelano frustrazione e paura di uno stallo

IE ha avuto accesso a una serie di dispacci diplomatici del Consiglio dell’UE, dove la modernizzazione dell’ECT è spesso all’ordine del giorno. Queste note confidenziali, scritte tra ottobre e novembre 2021, mostrano frustrazione e paura di arrivare a uno stallo.

Ecco cosa ci rivelano:

  • Secondo la Commissione, l’ottavo ciclo di negoziati ha avuto risultati contrastanti e parzialmente deludenti. Il processo è difficile e potrebbero volerci anni, senza una fine in vista.
  • Polonia, Francia, Spagna, Grecia, Lettonia, Ungheria e Cipro chiedono una valutazione legale per il ritiro congiunto
  • I francesi insistono che il ritiro congiunto dovrebbe essere seriamente preso in considerazione visto che i negoziati hanno lasciato poca speranza per un risultato positivo. Non credono che i negoziati possano finire entro metà 2022. 
  • Parigi e Madrid chiedono una data certa per l’uscita se non ci dovessero essere passi avanti.
  • Inoltre, la Germania è preoccupata dal fatto che le proposte attuali si stanno allontanando dai paletti originali dell’UE.
  • Per uscire in blocco dal trattato serve una maggioranza qualificata (55% degli Stati membri e almeno il 65% della popolazione UE) ma Bruxelles ha paura delle conseguenze della mancanza di voto unanime in Consiglio, se questo significa far uscire gli Stati dal trattato contro la loro volontà. 

Four life-sized figures of Europan leaders with a paper sword on top of their heads (the ECT) and a few people holding banners
Una manifestazione contro l’ECT di “Friends of the Earth” a Bruxelles. Il trattato è una spada di Damocle sopra le teste dei leader europei | Foto: Friends of the Earth Europe

La probabilità di arrivare a un accordo accettabile sono molto poche”

Un voto unanime è anche quello che serve alla conferenza dell’ECT, a livello internazionale, per riformare le norme attuali. La maggior parte dei 55 firmatari sono in Europa e in Asia, tra questi ci sono l’Unione europea e i suoi Stati membri (esclusa l’Italia, che è uscita dall’ECT nel 2016). Quando il patto è stato scritto nel 1994 il suo obiettivo era quello di integrare il settore energetico dell’ex-Unione sovietica e garantire stabilità alle società che andavano a investire nei paesi del centro-est Europa. 

Three bones of contention keep a deal out of reach. First is the economic activity, which defines the energy sources that should be protected. Second is the arbitration mechanisms and the jurisdiction of tribunals. Third is transit — that is, the treaty’s application in countries where energy travels but doesn’t stop. Say, when a pipeline crosses land that belongs to neither the producer nor the buyer, for example.  

Ci sono tre questioni controverse che impediscono il raggiungimento di un accordo. La prima è l’attività economica, che definisce le fonti di energia che il trattato dovrebbe proteggere. La seconda sta nei meccanismi degli arbitrati e nella giurisdizione dei tribunali. La terza è il transito, vale a dire come viene applicato il trattato nei paesi in cui l’energia passa ma non si ferma, ad esempio quando i gasdotti passano da territori che non appartengono né al produttore di energia né al compratore.

A seguito dell’aumento dell’influenza dell’ECT, la Commissione ha spinto per la sua modernizzazione, un processo iniziato nel 2018. L’obiettivo principale di Bruxelles era di riaffermare il primato del Diritto dell’UE e promuovere l’Accordo di Parigi sul clima.

In un primo momento gli europei hanno proposto un progetto di riforma la cui idea principale era di gradualmente togliere al trattato campo d’azione per le fonti fossili.

Ma tutti gli altri negoziatori l’hanno respinta. La commissione per la modernizzazione dell’ECT (un gruppo guidato da Austria, Lussemburgo, Svizzera, Giappone e Azerbaigian) ha quindi fatto una seconda proposta, una soluzione “flessibile” per premettere che la portata del trattato vari da Paese a Paese.

In altre parole, gli Stati europei possono interrompere la protezione agli investimenti nel fossile a condizione che gli altri Stati la possano mantenere. E’ questa la via che si sta seguendo ora nelle discussioni. 

All’UE mancano i consensi

I documenti visti da IE mostrano che l’UE sta facendo fatica a trovare sostegno al di fuori dei propri confini. Il Regno Unito e la Svizzera non sono alleati affidabili e il Giappone è il suo principale avversario. È stato infatti il Giappone, insieme al Kazakistan, a scartare un abbandono graduale dei combustibili fossili a livello generale. La delegazione di Tokyo ha persino rifiutato di includere un accenno all’Accordo di Parigi in una comunicazione ufficiale. Anche l’Azerbaigian si è rivelato un rivale, rifiutando ogni riferimento ai diritti dei lavoratori.

“Ci rendiamo conto che dobbiamo adottare la neutralità climatica”, ha detto a Investigate Europe un rappresentante asiatico dell’ECT, “Ma dobbiamo guardare alla realtà dell’approvvigionamento e non sappiamo quando i combustibili fossili potranno essere esclusi dal trattato”.

Alcuni Paesi hanno già deciso di ritirarsi dall’ECT per difendere i propri interessi: la Russia nel 2009, l’Italia nel 2016 e l’Australia nel 2021. Ciononostante, possono ancora essere chiamati in causa per la cosiddetta “clausola zombie”, una norma che salvaguarda gli investimenti esistenti per i venti anni successivi al ritiro. Seguire l’esempio di Roma potrebbe essere allettante per l’UE ma il fatto che ci siano due decenni di responsabilità lo rende una scommessa.

L’Italia è tuttora impantanata in una lunga causa contro l’azienda britannica Rockhopper che chiede circa 240 milioni di euro a seguito di un divieto di trivellazione in mare aperto. Sempre in Europa, i Paesi Bassi stanno affrontando in tribunale due compagnie energetiche tedesche per aver deciso di chiudere le centrali a carbone. Uniper chiede un indennizzo di 1 miliardo di euro, mentre RWE ha confermato a IE di aver chiesto 1,4 miliardi.

Per evitare problemi simili, lo scorso anno la Germania ha accettato di sganciare 4,35 miliardi di euro alle sue aziende energetiche, come parte dei suoi piani per la fuoriuscita graduale dal carbone. In cambio, i beneficiari hanno accettato di non portare Berlino di fronte ai tribunali arbitrali.

Il Segretariato dell’ECT ha registrato 142 azioni legali in totale dal 2001. Ma il numero reale potrebbe essere più elevato: i ricorrenti non sono obbligati a rendere note le cause e, inoltre, sul sito del trattato il conteggio si ferma ad agosto 2021.

Il Trattato sulla Carta dell’Energia non è compatibile con il Diritto dell’UE

Gli attivisti hanno tirato un sospiro di sollievo a settembre, quando la Corte di Giustizia europea ha decretato che l’ECT non possa essere usato in contenziosi interni all’UE. Ma non è così semplice. 

“In sostanza, significa che le corti nazionali in Europa non devono rendere effettivi i giudizi presi in arbitrati all’interno dell’UE”, ha spiegato Christina Eckes, professoressa di Diritto europeo all’Università di Amsterdam, “Ma, visto come vari tribunali hanno affrontato il Diritto dell’UE fino ad ora, è molto probabile che diranno che questa sentenza non sia vincolante per loro”.

Il Centro internazionale per il regolamento delle controversie relative ad investimenti (ICSID) e la Commissione delle Nazioni Unite per il diritto commerciale internazionale (UNCITRAL) hanno risposto che non possono comandare i tribunali che sotto il loro controllo. L’ICSID ha confermato che non ha provvedimenti in essere per fermare la registrazione di nuove cause intra-UE.


A wide-angle shot of the UNICTRAL building, in front of a body of water and some trees
Il palazzo dell’UNCITRAL a Vienna | Foto: UNCITRAL

Anche RWE e Uniper hanno riferito a IE che la decisione della Corte di Giustizia non dovrebbe influenzare le loro azioni legali contro i Paesi Bassi. Rockhopper non ha voluto rilasciare commenti sul suo caso contro l’Italia che pero’, secondo i documenti pubblici dell’azienda stessa, sembra esser stato rallentato dalla sentenza.

“Verranno istituiti tribunali al di fuori dell’UE”, anticipa Eckes, “E le aziende potrebbero anche rivolgersi a Corti non europee per far applicare le loro compensazioni e risalire ai soldi dei governi in Paesi terzi”.