Sentenza De Capitani: il Consiglio deve concedere l’accesso ai documenti

La Corte di giustizia dell'UE ha stabilito che i governi UE devono far accedere a tutti i documenti relativi ai nuovi disegni di legge dell'Unione.

I governi europei devono dare accesso a cittadini e giornalisti di tutti i documenti sui negoziati in corso per future leggi europee, incluse le posizioni dei singoli governi su una determinata legge. Nella sentenza di mercoledì 25 gennaio, i giudici della Corte Generale della Corte di giustizia dell’UE hanno rigettato in modo netto la segretezza finora adottata dell’organo legislativo più potente d’Europa.

“Per esercitare i propri diritti democratici, i cittadini devono poter seguire nei dettagli il processo decisionale degli enti governativi coinvolti nelle procedure legislative e devono avere accesso a tutte le informazioni rilevanti”, hanno osservato i giudici.

Il punto di partenza è stata una causa intentata da Emilio De Capitani, avvocato ed ex-capo unità della commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni del Parlamento europeo, che da tempo si batte per una maggiore trasparenza nelle istituzioni UE. 

De Capitani aveva notato che la camera legislativa dell’UE, il Consiglio, mantiene sistematicamente segreti numerosi “documenti tecnici operativi” e che questi spesso non vengono nemmeno inseriti nel registro ufficiale dei documenti (un obbligo di legge). Solamente a seguito di richieste di accesso ai documenti, uno dei 3000 funzionari del segretariato del Consiglio rilascia il numero del relativo documento preceduto dalle lettere WK, per “working” (“operativo”). Ma in realtà, nella maggior parte dei casi, l’accesso al documento in questione viene negato. 

Sono proprio questi i documenti in cui si capiscono le posizioni assunte dai vari governi sulle proposte di legge: informazioni che le autorità responsabili e i ministri preferiscono tenere per sé per non doversi giustificare pubblicamente. È soprattutto grazie a questa segretezza che le leggi vengono bloccate (o annacquate) da una minoranza di blocco all’interno del Consiglio senza che i cittadini vengano mai a sapere quale ministro di quale Paese ne sia responsabile.

Pubblicando documenti interni rilevanti, Investigate Europe è riuscita diverse volte a smascherare l’influenza delle lobby sui singoli governi. Nel 2019, ad esempio, il governo socialista portoghese ha dovuto smettere di bloccare una legge sulla trasparenza fiscale per le compagnie dopo che IE ha reso pubblica la sua opposizione. Ne è risultata una maggioranza sufficiente nel Consiglio per far approvare la legge e farla finalmente entrare in vigore dopo sei anni di ritardi.


L’avvocato Emilio De Capitani (il terzo da destra) da tempo si batte per una maggiore trasparenza delle istituzione UE. (Camera dei deputati/Flickr CC BY-ND 2.0)

In passato De Capitani aveva fatto richiesta di accesso ai documenti WK sui negoziati per questa stessa legge, ma gli era stato negato. Per giustificare la decisione, i funzionari coinvolti si erano appellati alla normativa sulla trasparenza, secondo cui i documenti possono essere tenuti segreti se la loro pubblicazione potrebbe “compromettere seriamente il processo decisionale dell’istituzione”. De Capitani, che è un esperto avvocato, non ha accettato la giustificazione e ha presentato un ricorso in Lussemburgo. Alla causa di De Capitani si sono uniti i governi di Belgio, Paesi Bassi, Svezia e Finlandia, tutti Stati che tradizionalmente hanno un livello di trasparenza governativa molto alto. 

Sono passati tre anni e ora i giudici si sono pronunciati a favore di De Capitani su quasi tutti i punti. In una sentenza che parrebbe quasi una lezione di democrazia, la Corte afferma che: “Bisognerebbe ricordare che in un sistema basato sul principio della legittimità democratica, i co-legislatori [dell’UE] devono rispondere delle proprie azioni pubblicamente”. Così i giudici hanno respinto le sommarie giustificazioni per cui la pubblicazione dei documenti rischiava di compromettere i negoziati. Il Consiglio avrebbe dovuto, invece “mettere a bilancio il particolare interesse che voleva proteggere evitando di divulgare il documento in questione con l’interesse pubblico a renderlo disponibile”. Infine, questo “permette ai cittadini di prendere parte più da vicino al processo decisionale e assicura una maggiore legittimità all’amministrazione”. La contestata decisione “deve perciò essere annullata”, hanno sentenziato i giudici.

Non è scontato, però, che questa sentenza modifichi la normale prassi di segretezza del Consiglio. Già in altre due sentenze la Corte aveva avanzato richieste simili ma la maggior parte degli Stati membri non vuole applicarle. Anche il Consiglio, rispondendo alle domande di IE, non ha mostrato alcun desiderio di cambiare. Un portavoce ha spiegato che il Consiglio ha “preso nota della sentenza sul caso De Capitani e valuterà attentamente le implicazioni sul futuro lavoro del Consiglio”. 

L’attivista per la trasparenza De Capitani si è detto deluso dal fatto che il Consiglio non è stato costretto dai giudici a pubblicare automaticamente e “proattivamente” tutti i documenti dei negoziati nelle sue 150 commissioni. Senza questo obbligo, “la sentenza è contraddittoria”, ha detto a IE. Da un lato la Corte chiede più apertura ma dall’altro i giudici hanno lasciato tutto come prima, il solito processo per cui giornalisti e cittadini devono richiedere l’accesso ai documenti. Processo che, peraltro, impiega “fino a due mesi per vedere risultati, quando i dibattiti sono già finiti e le decisioni sono state prese. È troppo tardi per articoli di stampa e un dibattito pubblico, che farebbero bene alla democrazia”. 

Il giudizio di De Capitani è condiviso dagli esperti UE di Transparency International. I documenti dei negoziati legislativi devono essere accessibili facilmente e velocemente, spiega Shari Hinds, policy officer per l’Integrità Politica UE in Transparency International. Da anni la sua organizzazione richiede che il Consiglio rispetti questo standard di democrazia.

De Capitani è determinato a non lasciar cadere la questione: per cercare di dare un’utilità pratica alla sentenza, ha annunciato che d’ora in avanti inizierà a “presentare una richiesta a settimana per avere accesso a tutti i documenti dei negoziati in corso” sulla cui base “costruire una banca dati pubblica sul processo legislativo nell’UE”. 

Anche IE ha deciso di mettere alla prova il sistema e ha richiesto l’accesso a dei documenti sui negoziati in corso, in particolare a quelli sul disegno di legge per la salvaguardia della libertà di stampa. 


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