Capacity Market: L’aiutino pubblico fa felici i soliti noti

Questo articolo è stato originariamente pubblicato su Il Fatto Quotidiano il 29 giugno 2020.

Non viene ancora contato tra i sussidi alle energie fossili, perchè entrerà in azione dal 2022, ma il capacity market all’italiana fa storcere il naso a molti osservatori. Quindici miliardi di euro da spendere in quindici anni, due aste già aggiudicate ai soliti noti, Enel, Edison, Eni, per 1,3 e 1,5 miliardi, solo per i primi due anni. Lo scopo giustificherebbe il mezzo: lo Stato paga un prezzo fisso a un fornitore di elettricità per quindi anni, perchè possa garantire lo stesso volume di elettricità, in ogni momento, anche se non verrà mai richiesto dal mercato. Questa capacità disponibile puo’ servire in una logica di transizione energetica a coprire i picchi negativi delle rinnovabili (quando c’è meno sole e vento, per esempio) ed evitare cosi’ spiacevoli black-out. Di fatto, pero’, è un aiuto di Stato solo ad alcune aziende, accettato da Bruxelles, che in questa fase di transizione viene usato per finanziare l’uscita dal carbone, non a vantaggio d’investimenti alle rinnovabili, urgenti e necessari, ma per costruire nuove centrali a gas. O per mantenere in vita vecchi impianti. Nella prima asta del 6 novembre scorso, su 40 GW assegnati, solo 1 GW è andato alle rinnovabili. Nella seconda, del 28 novembre su 43,4 GW, agli investimenti verdi sono andati 1,3 GW. Di questi quasi 35 GW riguardano capacità esistente e 1,7 nuova capacità principalmente con turbo gas.

Trasformatore di Enel a Bari, Italia

Sorprendente poi che in alcune regioni, come la Calabria e la Sardegna, non venga richiesta nuova capacità: segno che si mantiene lo statu quo con l’energia fossile?

Enel ha vinto entrambe le aste, con il 26% e il 30% del totale. Dovrà, tra l’altro, finanziare la conversione di quattro centrali a carbone – a Brindisi, Civitavecchia, La Spezia e Fusina – in centrali a gas. Investimento privato, ma largamente coperto con soldi pubblici attraverso il capacity market. «Lo scopo di Enel è la completa decarbonizzazione del mix produttivo entro il 2050», ha commentato Enel con Investigate-Europe. Intanto «sarà l’effettiva evoluzione del sistema elettrico dei prossimi anni a determinare per quanto tempo saranno necessari questi impianti per la sicurezza e la stabilità della rete. Lo sviluppo di capacità flessibile a gas per quanto strettamente necessario per la stabilità e sicurezza del sistema elettrico nazionale, è indicato dal Piano Nazionale per il Clima, come strumento di medio periodo indispensabile”. Ma è davvero indispensabile il capacity market?

Il Regulatory assistance project, RAP, a Bruxelles, ha realizzato a fine 2019 uno studio sul mercato della capacità energetica in Italia dove si legge che «il surplus di energia in Italia è attualmente molto alto, del 30% almeno in tutto il Paese e del 10% nel nord del Paese, mentre di solito il surplus si attesta intorno al 4%».

Christos Kolokathis (RAP), autore dello studio, ha dichiarato a Investigate-Europe: «L’analisi dell’operatore (Terna) che giustifica il bisogno di un capacity market, è molto conservativa. Le previsioni di domanda di elettricità sono troppo alte. Ci aspettiamo quindi che il capacity porterà a una sovraproduzione, al blocco a fonti fossili e, soprattutto, a un ingiustificato aumento della bolletta per i consumatori, che alla fine pagano il conto».

Secondo l’economista Matteo Leonardi, al posto di un sistema di prezzo garantito con il capacity market, «il governo dovrebbe investire molto di più nelle nuove fonti di energia, pagando le aste per le rinnovabili più di quelle per il gas, cosi’ da creare un incentivo a investire verde, ci vorrebbero impianti di accumulo e far partire delle politiche per diminuire il consumo di energia». Ma soprattutto, aggiunge Leonardi, «bisogna creare un ente terzo, rispetto a Terna, che valuti i bisogni in capacità di energia rispetto alle priorità politiche di un governo,  non solo in termini di soluzioni più facili e veloci». Scontento il mondo delle imprese verdi. «E’ una misura tutta a vantaggio delle fonti fossili», spiega Paolo Rocco Viscontini, presidente di Italia Solare. «Da un lato prevede l’accesso al mercato della capacità solo per gli impianti termoelettrici che daranno la disponibilità a entrare in funzione in caso di picco della domanda. Dall’altro lato, permette a questi stessi impianti di partecipare anche al mercato elettrico a prezzi calmierati. Questi impianti avranno quindi due remunerazioni», conclude Viscontini.

Nel Regno Unito il capacity market è stato già condannato nel 2018 dalla Corte di Giustizia europea per uno schema giudicato illegale. La start-up Tempus energy, all’origine della denuncia a Londra, ha cominciato ora un processo simile in Polonia, sempre contro il capacity market.