Altro che Green Deal, in UE miliardi ai grandi inquinatori

Questo articolo è stato originariamente pubblicato su Il Fatto Quotidiano il 29 giugno 2020.

La petroliera «Ice Hawk» arriva poco prima dell’alba nel villaggio di Soronos, a Rodi. Porta il carburante per la vicina centrale elettrica che servirà a rifornire gli oltre due milioni di turisti che stanno per arrivare. Un’altra petroliera attraccherà accanto alla Penisola di Prassonissi, una splendida riserva naturale. Questa energia non è solo inquinante. E’ anche molto costosa. Lo Stato greco potrebbe allacciare le isole alla rete elettrica e in due anni e mezzo ripagherebbe i costi, dice Greenpeace. In questo modo potrebbe usare le energie rinnovabili, già molto presenti nel Paese e cosi’ ridurre le emissioni di CO2 del 60%. E invece, per mantenere bassi i prezzi per gli isolani, ogni anno il governo greco paga mezzo miliardo di euro alle famiglie di armatori e petrolieri, come i Latsis e i Vardinogiannis, per trasportare petrolio in molte isole greche. Un sussidio che neanche la troika dei funzionari europei è riuscito a cancellare.

La Grecia non è un caso isolato: versiamo soldi agli agricoltori per usare pesticidi chimici, scontiamo la bolletta dell’elettricità alle grandi industrie che quindi non sono spinte a investire in fonti rinnovabili, i camionisti spendono molto meno per il diesel che per la benzina e poi pagano ancora tasse ridotte su quel poco che hanno speso. Gli aerei non pagano tasse sul carburante. Sono i sussidi alle energie fossili, retaggio di un passato in cui bisognava sostenere alcuni settori dell’economia. Oggi totalmente ingiustificati. «Uno spreco di denaro pubblico, causa di emissioni di gas nocivi e dell’inquinamento dell’aria», dice il Segretario Generale dell’Osce, Angel Gurria. Investigate-Europe ha contato almeno 137 miliardi all’anno regalati dai paesi europei – più Norvegia, Liechtenstein e Islanda – alle industrie fossili. Quasi quanto i 155 miliardi di bilancio europeo annuale per 28 paesi. «I sussidi sono la parte assurda delle politiche climatiche che vengono ignorati», ha detto Greta Thumberg in un video postato su Youtube.

Didier Bauweraerts/EU 2020 – EP
Greta Thunberg

I sussidi alle energie fossili sono il grande assente nella lotta per il clima, anche in questa fase di ripresa dopo il lockdown. Bruxelles tenta d’imporre delle condizionalità per gli investimenti verdi, ma non ricorda agli Stati membri quanti miliardi potrebbero risparmiare eliminando i sussidi ai fossili. Quando Ursula von Der Leyen, neo presidente della Commissione europea, si presento’ davanti ai deputati europei, lo scorso 11 dicembre, c’era grande attesa. Dopo appena dieci giorni dal suo insediamento, il nuovo esecutivo europeo presentava il Green Deal per il clima. «Sarà il nostro uomo sulla luna» disse orgogliosa Ursula. E in effetti, tutto faceva ben sperare: la nuova Commissione metteva il clima in cima a ogni politica europea. Peccato che nelle 24 pagine di promesse del Green Deal, la parola «sussidi» viene citata solo una volta, in un piccolo paragrafo che ricorda come le finanze pubbliche devono essere riviste alla luce dell’urgenza climatica. Nei Piani per il Clima che ogni Stato è obbligato a mandare a Bruxelles, l’uscita dai sussidi è letteralmente ignorata. Solo l’Italia pubblica la lista dei sussidi dannosi, ma senza alcun calendario per eliminarli. E pertanto c’è una scadenza precisa ribadita nel 2016 dai grandi della Terra nel G7 di Ise-Chima, in Giappone: «Rimaniamo impegnati nell’eliminazione di inefficienti sussidi per i combustibili fossili e incoraggiamo tutti i paesi a farlo entro il 2025». Poi nel 2018 quest’obbligo è diventato legge europea, attraverso il regolamento sull’Unione dell’Energia. «Forse non siamo stati finora abbastanza espliciti nel condannare i sussidi alle energie fossili», ha ammesso in un’intervista a Investigate-Europe il vice presidente Franz Timmermans, responsabile per il clima. «Lo saremo di più. Gli obiettivi climatici dell’Ue non sono raggiungibili senza l’abolizione della promozione del consumo di combustibili fossili».

Jean-Christophe Verhaegen/EU 2019
Ursula von Der Leyen con Frans Timmermans

L’Italia regala alle imprese inquinanti 18 miliardi all’anno, più di quanto versa al bilancio europeo (12 miliardi nel 2017). Si colloca al terzo posto in Europa per volume di sussidi rispetto al Pil, dopo la Germania e il Regno Unito, prima della Francia, con un carico per ogni italiano di 302 € all’anno. Il Ministero dell’Ambiente pubblica da tre anni un dettagliato catalogo dei sussidi, quelli ambientalmente dannosi e quelli favorevoli per l’ambiente: un’enciclopedia di 594 pagine, preparata da sette economisti che ogni anno vanno a caccia di sussidi, spesso nascosti nei meandri dei bilanci nazionali e regionali. Il totale dei sussidi nocivi è di 19,3 miliardi, comprese quindi le agevolazioni per l’agricoltura. Il resto, più del 90%, va alle fossili. I sussidi che fanno bene all’ambiente, perchè spingono per esempio all’uso delle rinnovabili, restano a 15 miliardi.

Le basse royalties per l’estrazione di petrolio e gas sono tra i più grossi sussidi dannosi in Italia: solo 7% per giacimenti on-shore e 10% per quelli off-shore. Molto al di sotto delle tariffe dei paesi europei, come il 22% in Austria, il 30% in Ungheria per non parlare del 74% in Norvegia. Inoltre, se si estrae al di sotto di precise soglie, non si pagano neanche queste misere royalties. «Perdiamo ogni anno circa 474 milioni di euro, dice Katiuscia Eroe di Legambiente, che ha studiato il sistema delle generose trivellazioni italiane, proponendo di portare le royalties almeno al 20%. Anche i canoni per gli affitti del suolo pubblico sono estremamente bassi, seppur il governo Conte I ci ha messo la mano, portandoli da un misero 2,58 € a km² a 64,5 € Km2, niente rispetto ai 3,500 € della Danimarca o addirittura gli 8,000€ richiesti dalla Norvegia. In questo scenario molto generoso il ruolo di primo piano è svolto da Eni, società statale a maggioranza pubblica, che ha sempre avuto il maggior numero di pozzi di produzione, 437 forniscono pozzi pari al 57,5% di quelli in uso nel 2018. “Lo scorso anno, Eni – aggiunge Eroe – non solo ha stabilito il suo record di produzione di idrocarburi, ma ha anche scoperto oltre 20 mila nuovi kmq di territorio in cui esplorare ed estrarre idrocarburi”. Nel catalogo dei sussidi inquinanti ci sono poi 1,6 miliardi di certificati gratuiti che offriamo alle industrie più energivore (cemento, alluminio, chimica) per inquinare: uno stimolo creato quindici anni fa, quando Bruxelles lancio’ la borsa dello scambio delle emissioni, ETS, per scongiurare la fuga delle imprese verso i mercati emergenti. Sussidi oggi ingiustificati, che rallentano gli sforzi delle imprese a diventare più verdi. Tra i beneficiari, Arcelor Mittal, con i suoi 72 impianti in Europa batte tutti i record: ha ricevuto dai vari stati Ue 1,7 miliardi nel 2019 per produrre CO2. In Italia, tra le top20 europee, ci sono Italcementi (249 mil€), Buzzi Unicem (209 mil) e ENI (206 mil€). Nel catalogo del Ministero dell’Ambiente, seppur non contabilizzati, vengono riportati anche i 2.1 miliardi di garanzie pubbliche agli investimenti fossili all’estero, via l’agenzia SACE. Lo Stato mette la sua faccia – e in caso di default anche i nostri soldi – in investimenti privati altamente inquinanti con un enorme impatto sulla vita delle comunità locali. Tutti soldi che potrebbero essere diretti verso investimenti verdi”.

I trasporti giocano la parte del leone: 5,1 miliardi solo la differenza tra il diesel e la benzina alla pompa. Ma poi lo Stato aiuta ancora l’autotrasporto, i taxi, le navi e i treni sulla loro seppur scarsa fattura energetica annuale: il Mef rimborsa quasi il 40% della loro fattura energetica sotto forma di credito d’imposta. Per non parlare degli aerei che beneficiano di una esenzione totale sul carburante. “E’ molto difficile eliminare certi sussidi”, spiega Pascal Canfin, presidente della Commissione Ambiente dell’Europarlamento. “Certe lobby possono paralizzare uno Stato”, dice Canfin ricordando il movimento dei gilets jaunes l’anno scorso in Francia che per un tentativo di aumentare la tassa sui carburanti, blocco’ letteralmente il paese per molti mesi.
La soluzione ai sussidi dovrebbe venire dall’Europa: una tassa uguale per tutti i paesi per impedire a una società di avere un vantaggio competititvo su un’altra, in un paese con meno sussidi pubblici. C’è una vecchia direttiva del 2003 su una tassa comune per l’energia (ETD) che la Commissione ha provato ad aggiornare nel 2015. Ma per approvarla ci vuole l’unanimità al Consiglio e molti paesi non vogliono sentir parlare di cedere sovranità a Bruxelles. “In attesa di una soluzione fiscale, l’Europa dovrebbe imporre standard e scadenze per le rinnovabili”, dice Pascal Canfin. “E’ quello che Bruxelles sa fare meglio, imporre standard nel mercato unico, per il restauro delle case, per l’efficienza energetica, per le auto elettriche. Questo risolverebbe in parte il problema dei sussidi”, dice l’eurodeputato Canfin.

Manifestation du mouvement des gilets jaunes, au carrefour de l'Espérance, à Belfort, le 17 novembre 2018.Thomas Bresson/CC
Il movimento dei gilets jaunes

L’Italia è l’unico paese europeo che ci sta provando. Dal febbraio di quest’anno, una “Commissione per la Transizione ecologica”, istituita dalla legge di bilancio 2020-2022, studia come convertire tutti i sussidi ambientalmente dannosi in sussidi verdi. Le imprese e le famiglie non perderebbero soldi, ma i soldi del contribuente andrebbero a politiche d’avvenire e non ai privilegi del passato. Al tavolo di questa commissione siedono tutti gli “azionisti” principali dei sussidi: il Ministero delle Finanze, dell’Ambiente, dell’Agricoltura e dello Sviluppo economico. “Stiamo cominciando dall’accise al diesel”, dice una fonte ministeriale, che segue i lavori. “Ci sono tre opzioni: o aumentiamo l’accise del diesel ai prezzi della benzina e con il ricavato finanziamo la rottamazione delle auto a diesel; o diminuiamo il costo della benzina oppure, insieme a un aumento del diesel, incrementiamo i sussidi alle auto elettriche. Lo scopo è trovare le giuste compensazioni perché le famiglie non paghino il prezzo della transizione verde”, continua la fonte. La vice ministro dell’economia, Laura Castelli (5Stelle) ha promesso che avrebbe eliminato tutti i sussidi al fossile. Entro ottobre devono finire i lavori della commissione tecnica. Poi la parola passerà alla politica e li’ il discorso diventa molto più complicato.